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L'alchimia e le arti
La fonderia degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie


di Sara Mamone
  L'alchimia e le arti. La fonderia degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie
Data di pubblicazione su web 07/02/2013  

 

Ci sono mostre di sfolgorante bellezza che lasciano al visitatore grandi emozioni e poca memoria ed altre più modeste che forse deludono alla visita e piano piano sedimentano nella memoria preziosi arricchimenti. La mostra ospitata nella sala delle Reali Poste della Galleria degli Uffizi e dedicata a L’alchimia e le arti, La fonderia degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie, appartiene certamente a questa categoria. Sotto i vessilli apparentemente riduttivi del ciclo seriale I mai visti, capolavori dai depositi degli Uffizi, di cui rappresenta la XII puntata, e promossa dal direttore degli Uffizi Antonio Natali per la cura di Valentina Conticelli, non presenta clamori di “pezzi” stupefacenti e, ad un primo sguardo, fa emergere dalla penombra dell’allestimento più la ritrattistica dei principi di famiglia Francesco I, Ferdinando I, Antonio, Ferdinando II, numi tutelari dell’impresa della fonderia, che non il fascino di un impegno che non fu solo attività imprenditoriale granducale ma rispondeva ad una passione vissuta con pienezza e competenza. Pian piano, nella lentezza di un percorso paziente e dettagliato (non aiutato, bisogna pur dirlo, né dalla retorica obsoleta del pannello introduttivo, ne’ da cartelli didascalici non sempre posti nel modo più funzionale: “dov’è il pesce palla, dov’è la scimmia bertuccia? non vedo il cranio di narvalo, e soprattutto non vedo il coccodrillo appiccato sopra la mia testa!) emerge la peculiarità di un luogo che ben rappresenta l’evoluzione della civiltà medicea dall’imprenditorialità cinquecentesca alla rappresentatività più tarda, quando le esigenze di una stabilizzazione della dinastia nell’Europa delle corti trasformarono pian piano lo slancio sperimentale in ricaduta di prestigio: il passaggio dalla fonderia ducale cosimiana e dalle farmacie di San Marco e Santa Maria Novella a quella fucina aggiornata ed onnicomprensiva che furono i moderni Uffizi, offrendo al primo granduca e ancor più al secondo la possibilità di una razionale concentrazione delle attività di governo, di quelle ludiche e di quelle sperimentali, costituisce il passo decisivo verso la modernizzazione dello stato granducale.

 


Teodoro Filippo di Liagnio detto Filippo Napoletano, La bottega dell'alchimista (1619). Olio su tela; cm 95 x 137. Firenze, Palazzo Pitti, depositi delle Gallerie fiorentine


La sperimentazione si consolida in prassi che diventano anche efficace veicolo di relazioni diplomatiche. Basti pensare ai doni farmaceutici, declinazione rappresentativa di una sperimentazione scientifica applicata: furono Cosimo e Francesco ad inaugurare la tradizione del dono farmaceutico come veicolo di cortesia diplomatica mentre Ferdinando I incrementò questa prassi elargitoria impegnando la fonderia ad una produzione seriale di rimedi in confezione extralusso (e in formato di 8,10,18 o 24 flaconi) da distribuire con accortezza secondo il codice ormai consolidato delle relazioni signorili. La prassi non fu certo dismessa dai sovrani successivi, se si pensa al riordino operato dalla reggente Maria Maddalena d’Austria alla quale si deve una maggior precisione nella registrazione delle distribuzioni che ci dà conto dell’ampiezza del commercio diplomatico: ad esempio nel 1643 i cofanetti percorsero l’Europa, a sollevare dai malanni il cardinale Mazzarino, la duchessa di Guisa, il re di Polonia, don Giovanni d’Austria, e giunsero fino al pascià di Alessandria mentre Francesco Redi, soprintendente alla fonderia sotto Ferdinando II, garantì la spedizione madrilena di rimedi che avrebbero dovuto proseguire fino alle colonie messicane.

 


Giuseppe Ruggeri, Pianta dei Camini della Galleria degli Uffizi (1762)


All’attività farmaceutica si affianca quella alchemica, praticata con appassionata competenza in particolare dal granduca Francesco, al quale la mostra rende il giusto omaggio, e dal figlio Antonio. Sono loro, in filigrana, i veri pionieri di queste passioni medicee, pur di lungo corso e di successiva maggior fortuna (la fonderia raggiungerà infatti il massimo splendore nel tardo Seicento sotto il governo di Ferdinando II e la sovrintendenza di Francesco Redi). Sarà questo sovrano ad accentuare, pur nella citata efficienza delle attività scientifico-distillatorie, l’aspetto collezionistico di raccolta delle rarità naturali, con la conservazione di specie rare di animali imbalsamati, di pesci stravaganti, insomma, di “curiosità” in cui l’effettivo uso farmaceutico convive ormai con la passione esibitoria, con l’approntamento di quelle camere delle meraviglie che saranno tipiche del collezionismo seicentesco.

 

Pesce palla (Arothros hispidus). Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze, Sezione di Zoologia "La Specola"


Il merito maggiore della mostra, affiancata da un catalogo anch’esso lieve e maneggevole che invita alla lettura, è dunque a nostro avviso quello di sottrarre I mai visti alla dimensione specificamente collezionistico-museale, per ridar vita alla storia del luogo, a quelle stanza che, prima di divenire  antonomastiche della conservazione, furono centro propulsore di attività e di governo. Nella messa in luce delle inesauribili suggestioni di ricerca ci piace anche ricordare come, a fianco del luogo della trasformazione alchemica, il granduca Francesco aveva anche voluto il luogo principe di un’altra alchimia, quella che non trasforma in oro i metalli ma che dà vita ai sogni. Proprio sotto le stanze della fonderia il più inquieto dei sovrani della dinastia approntava, con lo stesso architetto responsabile di gran parte delle strutture funzionali dell’officina, Bernardo Buontalenti, il gran teatro dell’illusione, quella struttura teatrale miracolosamente all’avanguardia della sperimentazione macchinistica che viene posta alla base del teatro moderno: il Gran teatro degli Uffizi, appunto, inaugurato nel 1586 per le nozze della sorella del granduca, Virginia, con Cesare d’ Este.

 


Bernardino Poccetti, Decorazione del soffitto della Grotta Grande di Boboli (1583-1588), particolare. Gli affreschi del Poccetti costuituiscono, almeno in termini iconografici e cronologici, il modello più prossimo per l'allestimento buontalentiano del teatro degli Uffizi del febbraio 1586. 

 


Pittore di scuola fiorentina della seconda metà del Cinquecento, Ritratto di Francesco I (1570 circa). Olio su tavola; cm 112 x 84,5. Firenze, Galleria degli Uffizi.


 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



Ambito di Jacopo Ligozzi, La fortuna (fine del XVI secolo). Olio su tavola centinata; cm 46 x 27. Firenze, Galleria degli Uffizi.




 

 
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