Intelligente programma del commissariato teatro Petruzzelli di Bari, dal 19 al 29 gennaio scorso, nel proporre Otello di Giuseppe Verdi, con il bellissimo libretto del poeta Arrigo Boito. Nellanno del doppio bicentenario di Verdi e di Richard Wagner, la fondazione barese mette in cartellone lopera verdiana che maggiormente risente dellinflusso wagneriano. Nel 1887, infatti, anno della prima alla Scala di Otello, Wagner aveva già scritto tutti suoi melodrammi e a Verdi parve ineludibile rendere la discesa del protagonista negli inferi psicologici della gelosia, per mezzo della figura centrale di Jago, non già con arie e recitativi, numeri chiusi nei quali il compositore era un maestro ma che non si adattavano al particolare ductus narrativo delloriginale scespiriano, bensì utilizzando un flusso melodico continuo, non lontano, appunto, da quello ideato da Wagner.
Fu leditore Ricordi a porre lanziano compositore di Busseto – che aveva manifestato lintenzione di ritirarsi dalle scene – dinanzi al fatto compiuto, cioè ad un interessantissimo adattamento in forma di libretto della tragedia di William Shakespeare. Boito fa iniziare la storia in media res, elidendo tutto il primo atto, che si svolge a Venezia, e iniziando, dopo una tremenda tempesta, con larrivo del condottiero a Cipro, isola veneziana di cui è stato nominato governatore dal doge.
È in questo scenario che si colloca, come un “motore non immobile”, il nero personaggio di Jago, il quale esprime in un magistrale momento il suo incredibile «Credo» rovesciato, la sua fede incrollabile verso il Maligno, grazie alla quale manovra quasi da burattinaio i sentimenti e le conseguenti azioni di tutti i personaggi in campo, veicolandoli verso il degrado morale e la distruzione (Roderigo che ferisce Montano, Cassio che uccide Roderigo, Otello che strangola Desdemona) o lautodistruzione (lo stesso Otello, in finale).
Al Petruzzelli, il dramma lirico di Verdi ha subito nelle mani di Eimuntas Nekrošius, dal punto di vista dellallestimento, una essenzializzazione. Come è di prassi per lui, coadiuvato qui dal figlio scenografo Marius, il famoso regista lituano ha “asciugato” la scena con un preciso (e dichiarato, anche nel libro di sala) intento antinaturalistico, utilizzando pochi elementi dai colori neutri, come bianco, nero e grigio: una piattaforma rotonda (di volta in volta mare in tempesta, isola, spalti del castello cipriota, grande sala dello stesso, camera da letto di Desdemona), una stilizzazione degli edifici dentro le mura, le navi con cui giungono Otello, poi lambasciatore veneziano. In questi spazi privi di connotati specifici, si muovono le masse, con ampi gesti allunisono ma con scarsi spostamenti sul palco, anche esse vestite con ordinari abiti grigi che fanno tanto Unione Sovietica (costumi di Nadezna Gultiajeva, moglie del regista). Emblematico, in questa prospettiva, allinizio del primo atto, il gesto cristallizzato di reazione ai lampi e tuoni del fortunale (light design di Audrius Jankauskas), quando il sipario (fino allo sbarco di Otello e del suo fenomenale «Esultate»), rimane aperto solo a metà (quella destra).
Una estetica discreta e metafisica, questa interpretazione della fatica di Shakespeare/Verdi/Boito, in cui però alcuni elementi divengono sostanza drammaturgica. Penso, in particolare, allo Jago che esce da una quinta ma mantiene invece la mano “in scena” quando Otello, furente, deve incontrare Desdemona; o allenorme paio di ali bianche che vengono associate alla comparsa della donna, agnello sacrificale delle ossessioni paranoiche del protagonista, utilizzate non solo per dire, ma anche per contenere: letto in cui giace la donna, poi sacello sepolcrale in cui anche Otello si cala per lultimo bacio prima dellomicidio e, dopo, per la veglia funebre.
La direzione della rinnovata Orchestra del teatro Petruzzelli, della canadese Keri-Lynn Wilson, è molto attenta alla tessitura di Verdi e punteggia con perizia i vari momenti dellopera, pur non brillando per particolare originalità, mentre di grande interesse sono state le prestazioni dei due cori previsti, quello del Teatro, preparato da Franco Sebastiani, e il delizioso Coro delle Voci Bianche «allOttava» diretto da Emanuela Aymone.
Per le voci, su tutte ha svettato la brava e dolce statunitense Julianna di Giacomo, sugli scudi sia nella «Canzone del Salce» che in tutti i momenti in cui la sua vocalità sopranile, rotonda ma eclettica, ha potuto dispiegarsi nellincantare i presenti. Purtroppo, non si può dire lo stesso degli altri cantanti i quali, pur impegnandosi con onestà nei rispettivi ruoli, non avevano quella tenuta loro richiesta in unopera così impegnativa e intensa, a cominciare dal pur bravo e professionale Clifton Forbis nel ruolo del titolo ad uno Jago un po svagato come quello di Claudio Sgura. Corrette le interpretazioni di Sara Fulgoni (Emilia), Francisco Corujo (Cassio), Massimiliano Chiarolla (Roderigo), Luca Tittoto (Lodovico), Roberto Abbondanza (Montano) e degli araldi Antonio Muserra e Gianfranco Cappelluti.
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