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Intervista a Krzysztof Penderecki

di Michele Manzotti
  Krzysztof Penderecki
Data di pubblicazione su web 04/12/2012  

 

«Quando c’era ancora la cortina di ferro ero guardato con sospetto dato che avevo rapporti artistici con la Germania. Quindi non mi davano il passaporto. A Darmstadt avevano indetto un concorso per compositori al quale partecipai con tre pezzi e tre nomi diversi con in palio un viaggio proprio in Occidente. Vinsi i primi tre premi e invece di andare nella città tedesca sono venuto a visitare l’Italia, viaggiando di notte perché i 100 dollari di premio non mi permettevano di dormire in albergo».

 

A distanza di 54 anni da questo premio, il polacco Krzysztof Penderecki è uno dei compositori più noti della musica del novecento. Oggi il maestro, 79 anni, è stato insignito del riconoscimento “Nuovi eventi musicali”, associazione che ha organizzato per l'occasione un concerto di alcuni suoi lavori a Firenze. In programma il Sestetto, il solo per violoncello Per Slava  e il Capriccio per oboe e 11 archi.

 

«Scrissi il Capriccio — spiega Penderecki — nel mio periodo di ricerca musicale in reazione al neoclassicismo di derivazione stravinskiana. In Polonia, nonostante tutto, la sperimentazione è partita abbastanza presto con l’arrivo dell’elettronica. Dovevamo però scrivere anche musica su commissione del regime, ad esempio quella che celebrasse i lavoratori o quella per film di propaganda».

 

Poi i suoi lavori sono diventati dei classici...

«Diciamo che sono entrati stabilmente nel repertorio delle stagioni concertistiche e dei festival. A partire da Threnody per le vittime di Hiroshima, forse anche per il titolo, e Polymorphia. Comunque sono stato un compositore d'avanguardia fino agli anni '80, poi ho iniziato a fare musica diversa, probabilmente più mia. Sono tornato alle forme classiche anche se con una mia visione. D'altra parte si sperimenta quando si è giovani».

 

C'è però anche la musica per film ad averla resa celebre in Occidente, come quella per L'esorcista e Shining. Come è nata questa esperienza?

«Non ho scritto musica appositamente per queste pellicole. Il compositore di musiche da film è generalmente ben pagato, ma spesso non riesce a farsi prendere sul serio dal mondo accademico o della classica in genere. Detto questo non ho avuto problemi a dare il mio assenso all'uso delle mie musiche».

 

Lei è anche direttore d'orchestra oltre che autore, quale ruolo preferisce?

«Rimango fondamentalmente un compositore, e non è detto che chi scrive sappia anche dirigere le proprie musiche. A volte l'ho fatto perché le ritenevo sufficientemente complicate per affidarle ad altri».

 

Oltre al viaggio che ha ricordato prima, cosa la attrae dell'Italia musicale?

«Da voi è nata la musica, quindi basterebbe già questo elemento a farmi sentire a casa. Ma mi piace sottolineare l’amicizia con Luigi Nono. Non andavamo d’accordo politicamente perché la sua militanza era quella di un idealista. Eravamo comunque in ottimi rapporti tanto che riuscii a organizzargli una serie di concerti vicino a Cracovia. Lì era sorta una città operaia e i lavoratori vennero ad ascoltarlo a fine turno. Peccato che erano stanchi e la musica contemporanea non era il loro genere. Alcuni dormivano e altri giocavano a carte e lui si arrabbiò tantissimo».

 

Recentemente lei ha inciso un disco con Jonny Greenwood del gruppo rock Radiohead. Ci può spiegare come è nata l'idea?

«Semplicemente mi ha scritto dicendo che prima del successo della formazione lui aveva studiato la mia musica. E' venuto a trovarmi a Cracovia e gli ho fatto ascoltare Polymorphia, brano che dura una trentina di minuti. Lui su questa musica ha composto le variazioni 48 Responses to Polymorphia. Con Greenwood abbiamo riempito le sale da concerto, ma anche un ex aeroporto militare russo vicino a Danzica. C’erano 1500 persone, con tanti giovani. Considero questa esperienza il mio Rinascimento».



 

Foto Ufficio stampa Nem

 
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