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Un Caso fortunato

di Roberto Fedi
  Corrado Guzzanti - Il caso Scafroglia
Data di pubblicazione su web 06/12/2002  
C'è un assioma che chiunque abbia un televisore in casa non può non far proprio: che i comici in Tv non fanno ridere. Sembra una contraddizione in termini, ma basta provare per credere (come diceva quello): dalle trasmissioni domenicali a quelle del sabato, per tutta la settimana, e con l'unica eccezione della Gialappa's Band di cui già ci siamo occupati, ci fosse uno solo dei tanti pagati per farci fare non si pretende uno sganasciarsi dalle risa, ma un sorriso, che non ci metta invece addosso un'infinita tristezza. Per cui chi volesse svagarsi un po' e non avesse proprio niente di meglio (anche al cinema non è che si scherza) deve - già lo abbiamo consigliato - adattarsi per qualche minuto a vedere uno dei tanti programmi pomeridiani, e qualcuno serale, dedicati alla Tv del dolore o della discussione pseudo-familiare. Lì, fra dialetti imbarbariti, esibizionisti vari, pettinature da circo e vestiti da vorrei-ma-non-posso, uno che ha stomaco una risata liberatoria la può fare (ma si consigliano dosi omeopatiche: se uno si mette a pensare che quelli lì fanno sul serio, gli viene la disperazione).

Quello di Guzzanti è, invece, un Caso a parte. Abbiamo scritto "di" Guzzanti e non "dei" Guzzanti perché la sorella, anch'essa con un certo seguito non solo in Tv, ci è sempre sembrata una miracolata (le sue imitazioni, se non fosse per l'aspetto ideologico, sono del genere "Bagaglino": piacciono solo ai sodali; un suo recente, diciamo così, "one woman show" su Rai Tre era supponente, noioso, qualche volta offensivo e faceva largamente rimpiangere Anna Marchesini, come minimo).



corrado guzzanti - il caso scafroglia

Il caso Scafroglia è quanto di meglio, da anni, la Tv-striscia ci abbia proposto. La finzione che Corrado Guzzanti imposta quasi ogni sera su Rai Tre con trasformismo e varietà strepitosi è multiforme: fra l'altro, quella dei tanti talk show. Insieme a un prete in studio (padre Gonorrea alias padre Federico: parodia di uno dei tanti che ammorbano, se ci è consentito, il verbo, la televisione quotidiana), il suo è il commento ai fatti del giorno. La grandezza di Guzzanti è l'uso, con faccia serissima ma parodica dei tanti possessori di faccia (tosta) televisiva, quindi con nessuna mimica facciale, di un linguaggio preso dall'uso dei media: modi di dire, frasi fatte, sintagmi apparentemente condivisi e inappuntabili. Ma, spostati dal loro contesto banalizzante (da Vespa a Costanzo, dai salottini della domenica alla stessa Rai Tre), quel lessico e quella fraseologia diventano teatro dell'assurdo: strepitoso, nella puntata del 4 dicembre, il commento ai problemi della Fiat e all'esternazione del Presidente del consiglio sulla possibilità di abolire il marchio Fiat, da sostituire con quello Ferrari; così come eccezionale la pseudo-telefonata in diretta dell'ascoltatore, sempre ovviamente Guzzanti, che proponeva per rimodellare la Fiat una serie di interventi demenziali (spostare la targa sulle portiere, ad esempio), con tutta una serie di equivoci sul nome di Montezemolo divenuto per l'occasione Montezuma.

Con Guzzanti si riabilita anche il dialetto, o almeno il terrificante romanesco ormai d'obbligo in Tv: ma qui come osservato in vitro, immobilizzato, 'segno' di un degrado nel momento in cui lo si adopera; e non di per sé comico solo per il suo essere lingua d'uso, sbracata e televisiva. E, con lui, entra in televisione la tecnica e la retorica (alta) dell'understatement, ma anche questo ironizzato, visto come una maschera posticcia, anch'esso in ultima analisi degno di ironia. Il segno, finalmente, di un modo intelligente di guardarci addosso, e di guardare addosso alla Tv nello stesso momento in cui - come suol dirsi - la si fa.



Il caso Scafroglia

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