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Sketchbook for hope

di Elisa Uffreduzzi
  The motel life
Data di pubblicazione su web 18/11/2012  

Tratto dall’omonimo romanzo di Willy Vlautin, The Motel Life si apre quando l’acme del dramma è già stato raggiunto e superato: sappiamo immediatamente che Jerry Lee (Stephen Dorff) ha ucciso accidentalmente un bambino, investendolo con la macchina. È un modo per accrescere e allentare allo stesso tempo la tensione spettatoriale. Difatti fin dall’inizio il pubblico è avvertito dall’ombra della tragedia pregressa che di qui in avanti non potrà succedere nulla di buono, ma allo stesso tempo sapere che il dramma-motore della narrazione si è già consumato, è paradossale motivo di distensione. Si crea così una strana atmosfera sospesa.

Da questo momento per Jerry Lee e il fratello Frank (Emile Hirsch) comincia un lento viaggio da Reno (Nevada) verso Elko. Il thriller sfuma così quasi immediatamente nel film on the road, dove la strada non è solo quella che attraversa le desolate lande innevate, ma anche un percorso sul filo dei ricordi, attraverso il quale scopriamo la morte precoce dei genitori, il tragico momento in cui Jerry Lee ha perso la gamba e la cocente delusione amorosa che ancora attanaglia Frank.

Solo alla fine il viaggio si rivelerà per l’ uno un percorso verso la morte, mentre per l’altro significherà forse una seconda nascita. Diretto da Gabriel e Alan Polsky, il film rappresenta a nostro avviso una delle proposte più interessanti tra quelle in concorso. La fotografia livida (Roman Vas’yanov), la musica (di David Holmes e Keefus Green), le ampie “vedute” del Nevada in campo lungo, in cui la natura diviene protagonista, tutto concorre alla realizzazione di un affrescodi un’America contemporanea lontana dalle grandi metropoli del turismo, scevro da mistificazioni e che s’inserisce nel solco della cinematografia “indie”.




Quello del disegno è un motivo conduttore presente a vario titolo nel film, variamente diegetizzato fino ai titoli di coda, quando interviene nella grafica sotto forma di schizzi fumettistici, costituendo dunque un capitolo a parte, oltre la narrazione. Le forme della diegesi che assume il disegno artistico nel corso di The Motel Life sono in realtà due. In primo luogo infatti esso costituisce una sorta di soggettiva interiore di Frank e specularmente di Jerry Lee, poiché il primo ha l’abitudine di raccontare al fratello delle storie per calmarlo, offrendogli ed offrendosi una via di fuga nei momenti più difficili, la speranza. In quelle scene la voce in campo di Frank diviene over, mentre scorrono le immagini di un cartoon che illustra il suo racconto fantastico.

L’altra forma diegetica che veste il disegno è quella dei disegni attraverso i quali Jerry Lee dà forma alle sue fantasie. Funge in qualche modo da anello di congiunzione tra queste molteplici vie grafiche, il fermo immagine finale carico di possibilità che “congela” Frank seduto sulla spalliera di una panchina, per poi trasformarsi anch’esso in un disegno, cui si agganceranno di seguito gli schizzi dei titoli di coda. Del resto buona parte del film si svolge in flashback, a partire da un’inquadratura di spalle di Frank che osserva i disegni del fratello appesi alla parete. La stessa inquadratura torna poco prirna della chiusura del film, di modo che lo svolgimento della narrazione assume ora i connotati di un’intima riflessione dello stesso Frank.




Per crasi il romanzo di Willy Vlautin e il film dei fratelli Polsky costituiscono nei confronti dello spettatore una sorta di graphic novel, veicolato dalle immagini cinematografiche in primo luogo e fumettistiche a un secondo livello.

Nel cast, oltre a Emile Hirsch e Stephen Dorff, capaci di una recitazione naturalistica molto coinvolgente senza ricorrere alla facile enfatizzazione cui numerose scene si presterebbero, dà una buona prova recitativa anche Dakota Fanning, nel ruolo di Annie James, la ragazza che ha deluso Frank. Certo è anche grazie a scene che indulgono in dettagli e gesti quotidiani come quella della doccia che Frank fa al fratello o quella in cui gli medica la ferita col whisky, che la retorica e l’enfasi recitativa perdono (fortunatamente) ogni possibilità di esistere.

Le forme del racconto (le storie di Frank) nel racconto (cinematografico), proprio attraverso l’espediente del disegno, mentre permettono ai registi di far passare in modo indolore e velato di onirica assurdità quelle scene che potrebbero turbare il pubblico perbenista, conferiscono al film uno stile peculiare, responsabile dell’atmosfera malinconica dell’opera e al tempo stesso foriero di speranza, una di via di fuga dai momenti difficili, per noi questa volta. Non è forse questo infatti lo scopo ultimo del cinema narrativo?




The motel life
cast cast & credits
 





Dakota Fanning

 
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