«Vorrei
non morire mai», confida Chayo (Margarita
Saldaña) alla madre in una delle ultime conversazioni che hanno. Di ritorno
al paese natale Xochimilco proprio per assistere lanziana donna nei suoi
ultimi giorni di vita, Chayo si trova a dover affrontare il dolore della
perdita irreversibile. Ecco allora che con uno slittamento di senso quelle
parole assumono il significato di una preghiera a Dio implicitamente riferita
alla madre più che a se stessa. Intriso di uno spiritualismo ancestrale, che si
mescola con la forte religiosità cristiana di entrambe le donne, il film è una
breve tranche de vie – o meglio tranche de mort – che si svolge con
lentezza rituale, la stessa dei gesti senza tempo che scandiscono tuttoggi la
vita a Xochimilco. Il regista Enrique
Rivero infatti, in questo locus
amoenus, individua le caratteristiche di quella che doveva essere la Città
del Messico pre-colombiana. Rivero ha dichiarato di aver tratto ispirazione per
il plot dalle vicende di vita a lui
confidate da una donna singolare – Chayo – da lui incontrata durante le riprese
del precedente Parque Vía, il suo
lungometraggio di debutto.  Margarita Saldaña di spalle in una scena del film Dialoghi
ridotti ai minimi termini, uno stile di regia che aderisce al reale rinunciando
a ogni orpello e ricorrendo al formato di ripresa in HD (che gli conferisce una
fotografia molto nitida già in sede di realizzazione) il film di Rivero consta
di una bellezza “naturale”, che risiede cioè nella Natura in primo luogo. Non
soltanto perché sia Chayo che la madre, attraverso le loro doti di veggenti –
che si tramandano di generazione in generazione, perdendosi nellorigine di un più
diretto rapporto primordiale tra Uomo e Natura – sono in particolare sintonia
con questultima, ma anche perché il paesaggio è il vero protagonista del film,
sin dalle prime inquadrature, sullacqua del fiume che riporta Chayo dalla
città alla dimora natale. Vedi i numerosi quadri in cui la barca esce dal
quadro lasciandoci ad osservare lacqua, o ancora la vegetazione mossa dal
vento, fuori fuoco eppure “viva”, dietro il volto in primissimo piano di Chayo,
che funziona da quinta.
Margarita Saldaña di spalle in una scena del film A
Xochimilco laspettano ruoli altrettanto naturali – quello di madre e moglie –
cui però si troverà costretta a rinunciare, sacrificando i propri desideri a
una sintonia più grande: il rapporto viscerale (il suo cordone ombelicale è
stato seppellito per strada) che la lega alla Natura con la maiuscola, al
Creato. La partenza di Chayo, che nel finale torna in città, è il paradossale
sintomo del suo ridarsi al Creato, rinnegando se stessa. E quel Mai morire che torna nel titolo, si dà
nella misura in cui si accetta la morte come parte del più ampio disegno di una
vita universale.
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