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La fiaba moderna di Sigfrido

di Vincenzo Borghetti
  Siegfried
Data di pubblicazione su web 09/11/2012  

Il bosco, il nano cattivo, la spada invincibile, il drago, l’uccellino incantato, la ricompensa finale: gli ingredienti della fiaba nel Siegfried ci sono tutti. È la prima volta che accade nel Ring. Se nel Rheingold prevale l’elemento epico dello scontro primordiale tra forze contrapposte (gli dèi, i giganti, i Nibelunghi), e nella Walküre quello tragico della sconfitta di Wotan e del sacrificio di Brünnhilde, nel Siegfried, per raccontare l’infanzia dell’umanità, Wagner ricorre invece alle ‘tinte’ e alle forme narrative della fiaba. Una fiaba moderna, però, in cui l’eroe è alla ricerca di sé in modo esplicito e consapevole: per diventare uomo Siegfried vuole sapere chi è, vuole imparare cosa sia paura, non attendere, come Pollicino, che gli capitino eventi e incontri inattesi e rivelatori. E nella fiaba dell’uomo moderno non è più un drago la prova suprema: il passaggio terribile e decisivo nel percorso di conoscenza di sé è la conquista dell’eros, la separazione definitiva dell’immagine interiore della Madre amata da quella reale della donna da amare. Solo così il giovane Siegfried può alla fine diventare adulto. Scriveva Thomas Mann, e non a caso, «psicanalisi, null’altro che psicanalisi» a proposito della seconda ‘giornata’ del Ring.

 

 

L’importanza della componente psicanalitica è evidente nella lettura scenica del regista Guy Cassiers. Per lui Sigfrido è un ragazzo contemporaneo, in anfibi, pantaloni e giubbotto di pelle e chioma fluente; un bulletto irruento e sconsiderato insomma (costumi di Tim van Steenbergen); anche il drago è un mostro ‘moderno’, una proiezione dell’inconscio, reso con un lenzuolo che si agita, avviluppa, gonfia ma che si dissolve nel nulla una volta trafitto (animato da cinque danzatori; coreografie di Sidi Larbi Cherkaoui). Tutto si svolge in una decadenza postindustriale in cui sono evidenti i riferimenti all’oggi. L’esuberanza violenta di Sigfrido è l’unico guizzo di vitalità in questo squallore, l’unica speranza nella desolazione che lo circonda. La scena è dall’inizio cupissima: la grotta di Mime è un laboratorio arrugginito rischiarato da lugubri neon (è ciò che resta della fabbrica di Alberich vista nel Rheingold; scene e luci di Enrico Bagnoli); metallica è pure la foresta in cui non alligna più quasi nemmeno il verde delle foglie, evocate dalle fragili proiezioni all’interno di cavi intrecciati e sospesi (videoproiezioni di Arjen Klerkx e Kurt d’Haeseeler). La luce arriva invece solo nella scena finale, quando Siegfried avrà compiuto il suo cammino di conoscenza, e imparerà con Brünnhilde a temere e ad amare.

 

 

Come nelle puntate precedenti, Cassiers demitizza e allo stesso tempo despettacolarizza la saga wagneriana. L’immaginario fantasy non lo interessa, come è evidente dall’uso di tecnologia all’avanguardia, ma con scarsa propensione agli effetti speciali. L’esito di questa lettura castigata non è però sempre efficace. Infatti, alla fine risultano più persuasive proprio le scene meno caratterizzanti di questa regia, quelle in cui Cassier ‘cede’ – saggiamente ‑ al meraviglioso. Ciò accade, per esempio, nella seconda scena del primo atto: Siegfried riforgia la spada Notung sulla pedana metallica che si ribalta gradualmente, tra bagliori di neon e proiezioni di fiamme sempre più violente. Al contrario, il risveglio di Brünnhilde, punto fondamentale nel percorso di autoconoscenza dell’eroe, si svolge in uno spazio sì finalmente illuminato, ma in cui la scena non si fa interprete dell’intensità emotiva e drammatica del momento, anzi, pare che il regista di fronte a questa intensità ora davvero umana mostri un imbarazzato (spaventato?) distacco. E alla fine per tutta la durata del duetto si ha un po’ l’impressione che Siegfried e Brünnhilde si aggirino sul palco, senza essere troppo convinti di quello che fanno.

 

 

Tutt’altra la tenuta della parte musicale. Siegfried è meno uniforme delle altre opere del Ring: Wagner vi rifuse infatti elementi ‘buffi’ (il personaggio di Mime, ma anche Fafner, secondo la letteratura più recente) che, se da una parte arricchiscono la tavolozza espressiva della partitura, dall’altra possono generare cadute di gusto nella caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni meno ‘sublimi’ e quindi giudicate meno tipicamente ‘wagneriane’. La lettura di Daniel Barenboim è stata perfetta tanto nel trarre vantaggio dalle discontinuità della scrittura, quanto nell’equilibrio dei pesi orchestrali, nello slancio delle frasi, nella complessità dei colori. Quello che a volte la scena negava, arrivava dalla buca con generosità: niente misticismi o spiritualizzazioni, ma suono, pieno e tanto. Molto positiva la prova dei protagonisti, pur con qualche diseguaglianza. Lance Ryan (Siegfried) ha cantato una delle parti più impossibili del teatro lirico, e l’ha fatto arrivando alla conclusione senza segni di stanchezza, il che è già degno di ammirazione. La sua è una voce chiara, non molto potente ma ben proiettata, è ideale per un Siegfried che voglia anche ‘suonare’ giovane; tuttavia, il timbro a tratti tagliente ha fatto risaltare meno l’aspetto eroico del personaggio, rendendolo dal punto di vista vocale un po’ troppo simile al tenore anti-eroe Mime. Nina Stemme ha risorse tecniche tali da riuscire a essere espressiva nell’altra parte impossibile dell’opera, Brünnhilde, che, a differenza di Siegfried deve giocarsi la serata in solo mezz’ora di musica (e che musica!). Peter Bronder (Mime) è un tenore dalle grandi capacità interpretative e attoriali (come ci si aspetta da chi riveste i panni del nano malefico), ma anche con mezzi vocali considerevoli, cosa non scontata per un cosiddetto ‘caratterista’, e giustamente premiata dagli applausi del pubblico. Benissimo anche gli altri Terje Stevensvold (Der Wanderer), Johannes Martin Kränzle (Alberich), Alexander Tsymbalyuk (Fafner), Rinnat Moriah (Stimme des Waldvogels). Solo la prova di Anna Larsson (Erda) è apparsa sfocata, evidentemente la cantante non è a suo agio nell’ingrata tessitura grave della parte.

 

Teatro gremito e grande successo, con un pubblico attento ed entusiasta, anche per quella che storicamente è sempre stata la ‘giornata’ del Ring meno popolare in Italia.




Siegfried
Der Ring des Nibelungen, seconda giornata in tre atti


cast cast & credits

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 





 

 
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