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Il Tirolo in Tirolo

di Paolo Patrizi
  La Wally
Data di pubblicazione su web 31/10/2012  

Messo un po’ in disparte dal successo del suo concittadino Puccini, e stroncato dalla tisi non ancora quarantenne, tra gli operisti della “giovane scuola” Alfredo Catalani resta quello più in credito con la Storia; e oggi, in tempi di rimozione estetico-ideologica di quel repertorio (un danno enorme per la nostra memoria musicale), andare a Innsbruck a vedere La Wally non offre solo il piacere – diciamo così – geografico di assistere a un’opera di ambiente tirolese proprio nella capitale del Tirolo: la trasferta ha il sapore della riappropriazione d’un cimelio di famiglia, qualcosa che apparteneva al nostro lessico e ora appare quasi esotico. D’altronde, in quegli anni di alpinismo pionieristico (Wally va in scena nel 1892), per il pubblico italiano una vicenda del genere doveva avere un retrogusto di esotismo.

Riascoltata oggi senza primedonne mattatrici alla Olivero o alla Tebaldi, più che per la teatralità (suggestiva, ma molto fin de siécle) e gli involi melodici (struggenti, ma di breve respiro) l’opera si gode soprattutto per i valori strumentali: facendo apparire evidente come con Catalani – al contrario del “terzo incomodo” toscano tra lui e Puccini (Mascagni, ovviamente), e forse anche del Giordano meno ispirato – l’impeto non scantona mai in faciloneria, né l’enfasi va a scapito dell’approfondimento. Verista più per area generazionale che per convinzione estetica, e intimamente wagnerista nel tendere a una campata musicale unitaria pur mantenendo pezzi chiusi ben enucleabili, Catalani andrebbe insomma ricollocato, prima ancora che rivalutato: e un’orchestra austriaca o tedesca, sotto quest’aspetto, offre maggiore idiomaticità. Quella del Tiroler Landestheater ha la compattezza e la duttilità necessarie, mentre il suo direttore Alexander Rumpf è sensibile quanto basta per trasmettere la percezione che, se nella Wally le voci veleggiano spesso sui lidi del declamato, la maggior cantabilità spetta proprio all’orchestra. Inoltre, essere eseguite dai complessi di un teatro davvero tirolese consente alle pagine di couleur locale – lo Jodler, il Ländler – di non aver nulla di cartolinesco, riappropriandosi della dimensione da esercizio di stile, visionario e quasi onirico, con cui Catalani le aveva concepite. E se i due preludi hanno il debito spessore sinfonico, il quartetto del secondo atto rivela in Rumpf una bacchetta flessibile: capace di sciorinare con ritmo cangiante, ma senza dispersioni, la leggerezza ironica della pagina.

Sophie Mitterhuber (Walter), Melanie Lang (Afra), Paulo Ferreira (Giuseppe Hagenbach), Johannes Wimmer (Alter Soldat)
Sophie Mitterhuber (Walter), Melanie Lang (Afra), Paulo Ferreira (Giuseppe Hagenbach), Johannes Wimmer (Alter Soldat)

Il dualismo musicale tra arioso e declamazione appare dunque ben risolto, ma resta il problema del dualismo drammaturgico: chi è, nella sostanza, Wally? Una valchiria delle Alpi? O una creatura più patetica e gentile, fragile sotto la scorza da maschiaccia e, forse, sotterraneamente sessuofobica? Il libretto di Illica inclina a questo secondo ritratto, il romanzo di Wilhelmine von Hillern che ne è alla radice protende verso la prima ipotesi a cominciare dal titolo – Der Geier, ovvero l’avvoltoio, per indicare la protagonista – e corrobora la tesi di una Wally-Brunilde con una serie d’implicazioni protopsicanalitiche (quel padre vecchio e orrendo che, dettaglio omesso nell’opera, avrebbe voluto un figlio maschio…). Catalani, del suo, offre una risposta ambigua: la drammaturgia vocale di Wally parte all’insegna del puro abbandono lirico con il celebre (almeno un tempo) Ebben? Ne andrò lontana, ma nel prosieguo tensioni e asperità canore suggeriscono tutt’altra fisionomia. Anche se il rammarico dell’autore di aver avuto, alla première, una protagonista a suo avviso troppo compassata (era l’impeccabile Hariclea Darclée, Catalani avrebbe preferito la meno rifinita e più temperamentosa Gemma Bellincioni) sembra un indizio in favore di una Wally più tagliente che sentimentale.

Pure il sentimento della natura che permea l’opera, e contribuisce anch’esso a fare di Catalani un musicista più tedesco che italiano, non è privo di ambiguità: si trascolora dall’incantamento rarefatto alla violenza – la micidiale valanga di neve su cui cala il sipario – di una natura inequivocabilmente matrigna. Il regista Johannes Reitmeier e la sua drammaturga Susanne Bieler non sembrano aver dubbi sul carattere sinistro della Wally: la doppia morte che la conclude, qui preannunciata in muto flash-back prima che il direttore alzi la bacchetta, non ha nulla di catartico ed è solo l’inevitabile conseguenza di una vicenda popolata da personaggi illividiti su uno sfondo tenebroso. Sul piano della resa visiva, però, l’alternanza di calligrafico e visionario che informa la messinscena non si traduce in ulteriore, fertile dualismo, ma è a un dipresso dal naïf: i mimi camuffati da mostri delle nevi – quasi degli yeti himalayani – sono per lo spettatore fonte di perplessità più che d’inquietudine, anche se sostituire la slavina finale con un loro mortifero abbraccio è, in astratto, un buon colpo di teatro. Più interessante il lavoro sui deuteragonisti: la solitudine del piccolo Walter viene sottolineata da una deformità fisica; il ruolo superfluo e ingombrante del Pedone – variante nostrana del Wanderer tedesco – è riscritto facendone un vecchio soldato alcolizzato e teppista, specchio dell’anima nera che alligna in ogni comunità bonaria e ridente; e proprio grazie a lui si riempie il “buco” del libretto relativo al personaggio di Gellner, che scompare dopo il terzo atto e qui viene giustiziato, più per alticcia ferocia che per convinzione, dall’anziano militare.

Stromminger (Marc Kugel), Paulo Ferreira (Giuseppe Hagenbach), Susanna von der Burg (Wally). Ensemble
Stromminger (Marc Kugel), Paulo Ferreira (Giuseppe Hagenbach), Susanna von der Burg (Wally). Ensemble

Con l’eccezione del tenore Paulo Ferreira, che dà l’idea di aver studiato il personaggio di Hagenbach ricalcando pedissequamente Del Monaco nell’incisione del 1968 (ossia un cantante fuori del comune per naturalia vocali, quindi inimitabile, e in una fase di pieno declino, dunque tanto più pericoloso da imitare), il cast farebbe onore a qualsiasi teatro italiano. Susanna von der Burg è una protagonista in taglia di soprano drammatico, ma né appesantita né sovradimensionata nei momenti lirici; e sebbene il temperamento faccia pensare più alla rifinitura tardoromantica della Darclée che al verismo sorgivo della Bellincioni, il suo fraseggio sempre calzante ed espressivo avrebbe soddisfatto anche Catalani. La tessitura dell’arioso T’amo ben io, concepita per baritoni di estensione e squillo paratenorili, mette un po’ a disagio Bernd Valentin, che nella solidità del registro centrale gioca le carte migliori; la sua emissione robusta e il suo accento contegnoso, però, si confanno a un personaggio come Gellner, coraggioso ma debole, passionale ma introverso. Sophie Mitterhuber incarna l’adolescente Walter con sensibilità e compenetrazione, sicché l’interprete lascia in secondo piano qualche disuguaglianza della vocalista.

Melanie Lang, negli scialbi panni di Afra, è più defilata, ma sa ritagliarsi il suo spazio nel quartetto. E i due bassi sono caratteristi di spessore protagonistico, come si convengono al vecchiaccio papà di Wally e al Pedone (o soldato che dir si voglia): l’uno interpretato da Marc Kugel con discrete qualità di cantante e ottimo talento di attore, l’altro da Johannes Wimmer, che si cala con convinzione nella riscrittura drammaturgica di questo personaggio facendone un cammeo memorabile, e anche qualcosa di più.



La Wally



cast cast & credits

Stromminger (Marc Kugel)
Stromminger
(Marc Kugel)


 

 

Bernd Valentin (Vincenzo Gellner aus Hochstoff), Susanne von der Burg (Wally)
Bernd Valentin (Vincenzo Gellner aus Hochstoff), Susanne von der Burg (Wally)
 
 
 
 
La foto in alto a destra della pagina ritrae Bernd Valentin (Vincenzo Gellner aus Hochstoff)



 
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