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Piccoli incantesimi per un gran teatro

di Gianni Poli
  La grande magia
Data di pubblicazione su web 19/10/2012  

 

Il giardino a terrazza sul mare accoglie i clienti dell’Hotel Metropole che giocano a carte e fanno conversazione. L’argomento piccante del pomeriggio riguarda la coppia Di Spelta: la moglie Marta, giovane e avvenente, accorda confidenza (troppa) al suo spasimante Marino D’Albino, fotografo; il marito Calogero ostenta indifferenza e superiorità, di fronte alla situazione chiacchierata: «Io sono un uomo felice perché non mi faccio illusioni mai», dichiara agli astanti. Si annuncia in serata l’esibizione del mago e illusionista Otto Marvuglia, la cui fama è decantata dai suoi sostenitori in combutta. Lo spettacolo di prestidigitazione comincia puntuale e già se ne conosce il «numero» di richiamo, quello in cui il mago fornirà l’occasione di fuga a Marta e al suo amante Mariano. Con l’efficace incantesimo subito dall’ignaro marito cornuto si sviluppa il dramma per l’uomo geloso e gretto, presuntuoso illuso della salvaguardia dell’onore. Calogero infatti pare convinto che la moglie sparita non si sia allontanata col rivale, ma resti prigioniera in una scatola magica dalla quale potrebbe uscire a patto ch’egli la riapra dimostrando piena fiducia nella sua fedeltà e innocenza. Il dilemma guida d’allora il tormentoso cammino di questo umanissimo, risibile e miserabile eroe rovesciato. L’uomo alla prova dei suoi pregiudizi, dei condizionamenti psicologici e culturali, affonda in una situazione senza scampo; rinviando per viltà l’apertura del contenitore temendo la verifica delle sue certezze labili, ammette la propria corresponsabilità nel comportamento dell’adultera. Resta dunque a sua volta prigioniero dell’incantesimo in forza della propria cattiva coscienza.

 

 
Foto Tommaso Le Pera

 

Ecco un aspetto appena, fra i tanti diversi e profondi che la commedia di Eduardo poneva al momento della prima rappresentazione a Napoli nel 1949. Oggi il complesso di sentimenti e moniti morali di Eduardo (che «usa il sogno come grimaldello apri-verità», notava Odoardo Bertani) si ripropone nell’ambito d’un cambiamento epocale, nella problematica più nitidamente investita dall’analisi antropologica, fatta vibrare dalla ravvivata memoria. Una memoria soprattutto affettiva che sa trasformarsi per la sensibilità del figlio d’arte, in partitura spettacolare originale e toccante. Sono i registri interpretativi d’una tradizione sempre aggiornata, gli stili conferiti ai personaggi e i moventi (palesi o sottotestuali) dei loro interscambi, a costituire l’attualità della cattivante rappresentazione vista al Teatro della Corte di Genova. Nel gusto d’una ricostruzione d’epoca e d’ambiente, gli oggetti e i loro rapporti figurativi e simbolici, creano corrispettivi non realistici, non veristicamente documentari. Sono rinvii e citazioni allusive, segni di un recupero intelligente di convenzioni teatrali, risalenti ai modelli di Scarpetta. La scenografia dell’Atto Primo, dispiega il fondale marino, i tavolini, la minima platea in palcoscenico che si specchia nel pubblico vero in sala. Laggiù, immersa in una luminescenza lunare quasi surreale, si assiste alla navigazione maliziosa degli amanti nella barca-giocattolo in mezzo alle poltrone.

 


Foto Tommaso Le Pera

 

La recitazione è conseguente alla moderna interpretazione di ruoli immaginari mostrati nel loro vissuto, in una dimensione metateatrale. Date le molte implicazioni emotive e perfino sentimentali che la commedia presuppone per il regista-interprete, Luca De Filippo inventa, ad esempio, il Tecnico-Servo di scena che s’aggira nel teatro buio, citando frasi di Eduardo sull’amore per quel luogo e per l’Arte che ci vive dentro. L’attore espone con nitidezza mai didascalica il programma pedagogico e poetico di Marvuglia, demiurgo capace di guidare con sagacia e senza presunzione al «giuoco della vita che ha bisogno d’essere sorretto dall’illusione, a sua volta alimentata dalla fede». Massimo De Matteo è persuasivo in Calogero Di Spelta, maturo nella tecnica comunicativa e padrone della gamma estesa del suo trasformismo, variante da sprezzo e scetticismo e repressa gelosia, a ripiegata straziata intimità. Giusto, nei passi critici fra paura e disorientamento; delirante, nella pazzia che sceglie il rifiuto della verità più dolorosa, dell’umiltà di riconoscere i propri errori e limiti. Quando si sostituisce al conduttore del gioco e si conferma nel proposito di non aprire la scatola, mostra e realizza la presenza d’un protagonista unico, sdoppiato in Marvuglia e Calogero: infatti Eduardo ne assumeva i ruoli in alternanza e Giorgio Strehler segnalava il funzionamento di quel «doppio» nella sua creazione del 1985 al Piccolo Teatro e all’Odéon-Théâtre de l’Europe nel 1987. All’eccellenza dei due attori principali corrisponde la bravura  della Compagnia intera. Ciascun attore trova le ragioni singolari di un contributo alla composizione corale, in una prestazione anche numerica ormai rara sulle nostre scene. La moglie del mago, Zaira, sua aiutante di mestiere, è la petulante, pragmatica Carolina Rosi. Lydia Giordano fa una Marta frivola ed infatuata, poi dolente nell’amarezza del pentimento. Antonio D’Avino scatta il lampo malandrino della seduzione istantanea destinata a spegnersi in delusione. Nei ruoli molteplici, tutti rendono un’immagine probante nella favola che s’incarna in storie familiari e personali viventi. Gianni Cannavacciuolo (anche la Madre di Calogero in travesti) e Nicola Di Pinto, sono i compari dell’imbonitore; Giovanni Allocca, il Brigadiere dallo zelo velleitario; Giulia Pica, un’Amelia vittima dolce e innocente. La Fulciniti, la D’Ambrosio e la Annibale, le pettegole frequentatrici dell’albergo.

 

Per il risalto dell’apparato spettacolare (luci, musiche e atmosfere nella funzionalità fantasiosa della scenografia), per l’efficacia dei trucchi del prestidigitatore e la finezza equilibrata dell’orchestrazione dei caratteri nelle varianti introspettive o d’espressione diretta delle passioni, questa terza edizione merita di entrare nella pur breve antologia delle rappresentazioni dell’affascinante opera eduardiana.



 

La grande magia
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