Nel buio – di un teatro da tutto esaurito – si leva una ninna nanna dal sapore funereo. Due voci, una maschile e laltra femminile intonano una prece delirante, grottesca. La morte, quella eterna, quella vera ha avvolto nel suo manto nero larte teatrale ed uno dei suoi grandi figli del Novecento italiano: Eduardo de Filippo.
Lidea di Enzo Moscato era quella di rendere omaggio alla figura di Eduardo, uomo dal carattere schivo, severo e drammaturgo intransigente, rigoroso. Voleva essere un testo ‘su Eduardo, come afferma nelle note di regia, ‘un periplo immaginario intorno ai pensieri e ai sentimenti ante e post mortem dellistrionico maestro.
In realtà si assiste ad una commemorazione, ad un ossario di parole mortifere. Lo spettatore diviene vittima di quella poetica della peste, di quel virus letale del linguaggio moscatiano.
È vero che il teatro è il luogo della finzione dove si può giocare allinfinito, ma è anche vero che i morti non possono ritornare e reincarnarsi e confessare tutti i loro pensieri più nascosti, le proprie ansie, i propri dolori. Vagare per ipotesi, illazioni e supposizioni come afferma Moscato vuol dire sostituirsi alluomo, non fingere. Si assiste ad uno spettacolo ibrido con poche parti recitate e letture, inframmezzate da versi quasi sciamanici e rituali. Una sorta di stratagemma, di ricatto nel quale a rimanere invischiato è lo spettatore.
Eduardo non è lunico fantasma, Moscato scomoda anche Pasolini. Il titolo dellallestimento Tà-Kài-tà (che in greco significa questo e quello) ripete il titolo del film che lo stesso Pasolini – prima di essere ammazzato – stava scrivendo per Eduardo. Una sovrapposizioni di anime, di situazioni che sembrano un po forzate, soprattutto quando si gioca sulle date di morte dei due artisti. Un confronto speculare tra chi era definito un uomo molto buono e chi meschino, egoista.
La presenza in scena di Isa Danieli, attrice di matrice eduardiana, testimone di quella tecnica interpretativa rigorosa del primo Eduardo, offusca lattore Moscato che da solo in scena è un grande interprete.
I riferimenti espliciti ai testi eduardiani da Filumena Marturano a Natale in Casa Cupiello, da Sik Sik lartefice magico a Le voci di dentro insieme alle frasi pronunciate da Eduardo/Moscato su Scarpetta: «Mio padre fu questo, e va detto chiaramente: un servitor del Nulla, un leggiadro e divertente terrorista d' 'o Vacante!»? E di quello espresso su Titina e Peppino: «I miei due fratelli... / due angeli custodi... due caini... / due santi... due caimani... / due benedizioni... 'na coppia 'e tirapiedi!», divengono una forzatura, un omaggio invasivo.
Altra rievocazione silente, questa volta, è stata quella di Luisella de Filippo, la figlia di Eduardo morta in giovane età. Nel rievocare lo struggimento paterno, si assiste alla presentazione ‘disturbante sottovetro di una bambola (dalle sembianze umane) su un letto di morte. Ad enfatizzare i momenti tragici e intimi luso di luci colorate, in una scenografia quasi anonima, con sottofondo musicale di Lariulà cantata da Rosa Moretti (madre di Isa Danieli) e di Giorgio Schottler.
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