drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Ammalarsi è (quasi) bello

di Roberto Fedi
  Il cast di E.R.
Data di pubblicazione su web 26/10/2002  
Quando se ne andò George Clooney tutti pensarono che il bel gioco era ormai finito. E in effetti la storia ebbe un piccolo scossone: non si sapeva bene cosa fare della fidanzata del bel pediatra, l'infermiera innamoratissima e ora anche incinta (due gemelli), che lo aveva aspettato per mesi e anni.

E invece le cose sono andate anche meglio di prima. Come sempre nei serials i personaggi che non si sa dove sistemare, o mostrano la corda, in un modo o nell'altro escono dalla comune: chi decide di farsi un'altra vita altrove, chi muore. Ciò che va avanti, ed è superiore alle stesse personae, è infatti la serie: che qui, in E.R., è così forte e ben costruita da sfidare qualsiasi defezione o terremoto. E così adesso, nella nuova edizione da poco tradotta anche in italiano (seguirla in inglese è impossibile, a meno che uno non si sia laureato in medicina in America: a tal punto le storie e i dialoghi sono scientificamente precisi), l'assenza nemmeno si nota, surrogata com'è non tanto dai sostituti, bensì dal plot. Come nei romanzi ciclici, l'intreccio è più importante dei singoli.

E.R. (preferiamo chiamarlo così: è la Emergency Room di un ospedale di Chicago la vera protagonista, più che i "medici in prima linea") è una delle più formidabili dimostrazioni di come si fa un serial degno di questo nome. Per almeno tre ragioni.
Intanto, l'ambientazione. Che non è solo data dalla eccezionale precisione degli interni (l'ospedale è perfetto proprio in senso scenico, che non vuol dire solo realistico: si sarà notato che pur in quell'intrico si orienta anche lo spettatore, che ha una precisa idea di dove si trova in qualsiasi momento, a differenza di tutte le 'serie' italiane - non di rado anche i film - dove non si riesce mai a capire dove si trovi la scena), in cui nulla è lasciato al caso e dove non c'è un solo decimetro quadrato sgombro o sciatto; ma anche dall'atmosfera degli esterni: una Chicago evocata con tratti sobri, ma essenziali. Come nei grandi romanzi, i panorami anche urbani debbono essere suggeriti, non descritti, e funzionali alla psicologia dei personaggi, debbono contribuire a spiegarli.

Poi, appunto, la qualità degli interpreti. Che sono tutti bravissimi, proprio nella loro sobrietà: Green, o Carter, o Benton, o Romano, o Elizabeth o Malik o qualsiasi altra dottoressa o infermiera o assistente o portantino o segretario di quel reparto è perfetto: non è un attore che interpreta il ruolo del medico, "è" un medico. E il racconto è corale, nel senso che ognuno con la sua personalità si inserisce alla perfezione nell'ambiente, e non spicca sull'altro. D'accordo che questa è la caratteristica tipica del cinema americano: ma qui siamo veramente all'applauso, anche perché i personaggi sono nel corso degli episodi addirittura centinaia.

Infine i movimenti di macchina e il susseguirsi degli episodi e delle singole storie, che si intrecciano di continuo senza respiro (le pause, qui, hanno un valore connotativo, sono un 'segno' di qualcosa: una riflessione, un dolore, una svolta dell'esistenza). Dove si vede come il fatto tecnico, nel cinema ma non solo, debba essere strettamente legato all'elemento compositivo per essere funzionale. Così, il tumultuoso succedersi degli eventi in una giornata d'ospedale e l'intreccio vorticoso delle storie (il ragazzo ferito, la donna stuprata, i genitori disperati, il moribondo per l'incidente, il vecchio malato, la ragazza incinta…) sono espressi figurativamente dalla macchina che corre nei corridoi stretti, sta sul fatto, 'vede' il malato; oppure stacca e corre in un'altra sala, dove una porta che si spalanca di colpo e il dottor Benton che chiede precipitoso "Cosa abbiamo?" o urla "Muoversi! muoversi!" (un anglicismo che funziona come un voltar di pagina) introducono un'altra vicenda, che a sua volta sarà inframmezzata da un'altra, senza pause. E alla quale basteranno pochi tratti, un paio di battute, per delineare il fatto, i personaggi, altre storie che si aprono e si chiudono.

In questa drammaturgia perfetta, tutta giocata sull'incalzare degli eventi (nessuno sta mai fermo sulla scena: e lo spettatore non può distrarsi), i singoli si inseriscono con discrezione, le loro vicende private non sono mai ossessive o invadenti. Il protagonista assoluto è ciò che si sta svolgendo nelle sale del Pronto soccorso di un ospedale immerso nel freddo di Chicago, alle prese ogni giorno con il tumulto della vita. È il fatto che conta, non solo il privato. E i personaggi non sono eroi: ci piacciono non per quello che sono, ma per ciò che fanno. Anche per gli errori, anche se qualche volta mandano - per stanchezza, per una malaugurata distrazione, per una fatalità - qualche poveretto al creatore. Può capitare, quando fuori l'enorme città ti opprime, lo struggle for life ti schiaccia un po' troppo, la vita privata ti ha fregato, o il lavoro di una giornata ti ha sfinito. Anche se in primo piano c'è sempre il 'caso' clinico, e se quindi noi ci identifichiamo anche con la malattia oltre che con il suo curatore, glielo perdoniamo volentieri.

E.R. Medici in prima linea (VIII serie)

cast cast & credits
 


 
E.R.









 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013