drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Cedar Lake Contemporary Ballet

di Elisa Uffreduzzi
  Cedar Lake Contemporary Ballet
Data di pubblicazione su web 11/07/2012  
Per la serata dello scorso 30 giugno, all’insegna della danza contemporanea, Ravenna Festival lascia il palco del Palazzo Mauro de André nelle mani o per meglio dire ai corpi del Cedar Lake Contemporary Ballet, giovane compagnia della scena americana, che si è esibita per l’occasione in un trittico composito, all’interno del quale si individuano momenti più e meno felici ma che nel complesso risulta senza dubbio convincente. Il corpo di ballo è un coacervo di danzatori di diversa etnia e formazione, che mette in scena di volta in volta coreografie che il direttore artistico – il francese Benoit-Swan Pouffer – sceglie senza mai “accomodarsi” su una linea coreutica univoca, ma anzi aprendo la compagnia e con essa il pubblico americano a uno stile coreografico sempre nuovo e apportando un po’ di quel gusto europeo acquisito in patria. 

Violet kid, primo titolo proposto, nasce dalla fantasia coreografica dell’israeliano Hofesh Shechter, che su di una musica fortemente percussiva da lui stesso composta, orchestra i movimenti dei danzatori in scena. Il pezzo si apre con un monologo in sottofondo, dal quale affiorano alcune parole, come aforismi rivelatori di senso. Emerge così il tema della comunicazione e, in una chiave sottilmente polemica, viene rimarcato come la prima impressione si consumi in una manciata di secondi, mentre i danzatori della compagnia, schierati in proscenio come militari in abiti civili, guardano dritto davanti a sé, in attesa di un giudizio, quello del pubblico, che viene così implicitamente invitato a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. «La gente parla troppo», sentenzia ancora il monologo in inglese, come a voler suggerire che forse molto e più può essere detto attraverso il gesto e la danza. Con una sorta di andamento sinusoidale, il corpo di ballo a tratti danza all’unisono, a tratti si disperde in piccoli gruppi, ciascuno con una propria differente partitura. Se la contrazione dell’addome in una sorta di posa introspettiva è uno dei tòpoi di questo brano, tuttavia altrove si ravvisano suggestioni di danze tradizionalmente codificate. È il caso del tango, sia pure trasfigurato e snaturato, che riappare sotto altra forma, nelle coppie che danzano, l’una scaricando il peso sulla testa del partner, in una sorta di duello/schermaglia amorosa. Ma è anche il caso del flamenco, rievocato dal ritmico battito dei piedi a terra, aderendo ai rintocchi delle percussioni sonore. Quest’ultimo movimento, come un ritornello, scandisce il ritorno alla coreografia “di massa” in vari momenti della prima sezione dello spettacolo. Infine è il balletto classico a fare la sua inequivocabile comparsa, anch’esso sviscerato, decostruito, rivisitato. Ciò appare evidente allorché i ballerini si compongono in un passé volutamente sbagliato, la gamba di terra en dedans, le braccia in prima posizione. Passé che ciascun danzatore poi “scioglie” rilasciando di colpo il busto e via di seguito, il resto del corpo. Come a voler ribadire l’importanza fondamentale della tecnica classica di base, purché venga superata, sfruttata in tutte le sue risorse e poi gettata via, una volta metabolizzata. 
 


Ten Duets on a Theme of Rescue

 

Ten Duets on a Theme of Rescue, coreografia della canadese Crystal Pite, è il secondo “quadro” del trittico coreutico proposto dalla serata. Esso indaga i molti e vari modi di darsi delle relazioni interpersonali, suddividendo il brano e l’ensemble in una serie di duetti, dove la simmetria e l’unisono sono solo una delle possibili soluzioni e non necessariamente la migliore, come nella vita del resto. Tra i momenti più felici della coreografia, vi è quello in cui una delle coppie coinvolte, nella semi-oscurità del palco, si esibisce in una “posa dinamica”: come in una cronofotografia di Marey, la figura di danza sfuma nella cinetica del movimento e la ballerina atteggiata come in corsa eppure immobile, tende una mano al compagno che la insegue, fermo sul posto ma mobilissimo. Quest’ultimo infatti, semplicemente alternando sul posto i piedi, simula un corsa, il busto proteso in avanti per “rincorrere” la compagna, la mano per raggiungerla. Una fine simbologia dell’eterno sfuggirsi e ritrovarsi, noto cliché dell’amore di coppia.  



Necessity, Again

 
Necessity, Again, coreografia del norvegese Jo Strømgren, presentato al Ravenna festival in prima europea, spezza la continuità descritta dalle precedenti parti del trittico. Al clima spensierato evocato dalle melodie delle canzoni di Charles Aznavour, fa da contraltare un testo di Jacques Derrida. Il monologo del filosofo francese chiude a cerchio lo spettacolo considerato nella sua interezza, rievocando il sottofondo verbale iniziale e richiamandone in certa misura anche la tematica della comunicazione. Derrida mette sotto accusa il logocentrismo, la ricerca spasmodica di significato, di una verità assoluta. Del resto lo stesso Strømgren ha sottolineato come non ci sia in ultima analisi niente da capire: «rilassatevi e lasciate che la vostra immaginazione spazi».

Questa terza sezione dello spettacolo, opta per l’ausilio di alcuni oggetti di scena. Un tavolino quasi in proscenio, poi vengono trascinati sul palco una serie di fili, sui quali sono “stesi ad asciugare” numerosi fogli bianchi, di nuovo in una metafora anti-logocentrica. L’atmosfera parisienne anni ‘60 identificata inequivocabilmente dalla musica, viene ribadita dai costumi e i ballerini a tratti aggiungono il coro delle proprie voci a quella di Aznavour, nel ritornello dei vari brani. Rompe la gioiosa atmosfera primaverile un temporale, del quale avvertiamo il rumore. Questo squarcia la bella stagione non soltanto sul piano sonoro, ma anche dal punto di vista visivo e coreografico, descrivendo una sorta di intermezzo all’interno della coreografia-cornice. Le luci sfumano nella penombra, tace il continuum canoro e alcuni ballerini si spogliano in scena rimanendo in lingerie. Come sopravvissuti a una catastrofe planetaria, si aggirano per il palco raccogliendo le tracce di un’umanità scomparsa – i fogli bianchi sparsi a terra – sotto il peso delle proprie vuote parole. Poco importa, i danzatori si rivestono, Aznavour riprende a cantare e la proverbiale joie de vivre tutta francese ha il sopravvento, come dire che se «del doman non v’è certezza»… tanto vale star lieti e riprendere a danzare. Lo spettacolo si chiude con un’immagine che fissa paradigmaticamente se non il senso, l’atmosfera di questa ilare coreografia: servendosi di uno dei fili dai fogli appesi come di una corda per bambini, una ballerina salta, mentre altri due danzatori manovrano la fune. Quest’ultima coreografia è indubbiamente trascinante per l’entusiasmo suscitato dalla musica scelta e per il respiro tradotto in gesto dai movimenti ampi, fluidi e veloci. Vi si ravvisano eco consistenti del Tanztheater di Pina Baush, non soltanto nell’impiego degli oggetti di scena, ma per la qualità di movimento in sé, vedere per credere. Una lettura coerente se si considera il progetto artistico di Strømgren, che oltre a svolgere l’attività di coreografo, dirige una propria compagnia, le cui finalità sono teatrali oltreché coreutiche. Sebbene Necessity, Again sia la parte dello spettacolo più brillante, essa costituisce uno strappo eccessivamente brusco rispetto al tutto della serata e rappresenta dunque una scelta di programma discutibile. Troppo “chiassoso”, il pezzo stride per tono e la pecca è forse imputabile in primo luogo alle canzoni in sottofondo che, pur molto gradevoli, sono fin troppo popolari e finiscono così per svilire lo spettacolo, connotandolo di un’accezione commerciale, un po’ da musical popolare, che poco si addice al progetto artistico del Cedar Lake Contemporary Ballet, per lo meno nel contesto delineato dalle altre due coreografie proposte in questa occasione.

La compagnia diretta da Pouffer si conferma dunque un ensemble di spicco a livello internazionale, per composizione interna e per la capacità del suo direttore artistico di compiere scelte coreografiche anche rischiose, conservando così alla “sperimentazione” il significato che le è proprio, di tentativo e di ricerca.



                               
Cedar Lake Contemporary Ballet
cast cast & credits
 
                                  
 
C
Necessity, Again
 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013