La
donna o la diva o il mito, che è lo stesso. Realizzare un film su Marilyn
Monroe oggi, si profila come unoperazione ad alto rischio: è già stato detto tanto,
troppo, sulla celebre attrice hollywoodiana e il pericolo di scadere nel
banale, nel già detto, nella triste imitazione come tale destinata a rimanere
offuscata dalloriginale è senzaltro reale. Simon Curtis regista inglese soprattutto per la televisione riesce
a scamparlo, grazie alla sobrietà mantenuta fin nei gradevoli titoli di coda e
forte di un soggetto deccezione come il libro di Colin Clark, La mia settimana con Marilyn, racconto
autobiografico del breve periodo che lautore ebbe il privilegio di trascorrere
a stretto contatto con la Monroe, durante le riprese del film Il principe e la ballerina (Laurence
Olivier, 1957). Clark, allora terzo assistente alla regia, ebbe così la
possibilità non solo di verificare le dinamiche del difficile rapporto sul set
tra la giovane star americana in ascesa e lastro avviato al tramonto di un
“grande attore” teatrale prima che cinematografico come Laurence Olivier, ma
anche di saggiare lo spessore umano nascosto dietro a unicona del cinema che
la morte prematura e adombrata dal sospetto del suicidio, avrebbe consegnato
per sempre alla sfera del mito.
Sia
chiaro, lopera è inevitabilmente celebrativa, secondo la declinazione che la
mitizzazione ha assunto nella contemporaneità: anziché negare le zone dombra,
ne fa una carta vincente, quella decisiva, che definisce lunicità dellidolo
da adorare. Né Curtis sfugge ai cliché
cinematografici: complici la cifra citazionistica, che confina tutto il film
nel vocabolario visivo del technicolor del cinema americano anni ‘50, Marilyn non manca di scene prevedibili e
convenzionali a partire dalla sceneggiatura (forzando anche un po il testo
dorigine) come quelle che testimoniano il flirt tra il giovane aspirante regista e lattrice di successo. Anche
il trattamento dei personaggi è piuttosto stereotipato e semplicistico: ci sono
il ragazzo giovane e ingenuo, lanziana attrice materna e comprensiva, il
maggiordomo solidale, la moglie matura e un po gelosa, ecc. Tuttavia, ciò che
consegna alla narrazione una sostanza di verità emozionale, che è poi quanto deve
aver colpito il regista stesso allorché ha acquistato i diritti del libro di
Clark, è il portato umano della donna che emerge al di là della vicenda
artistica e professionale, sottraendo qui sì e definitivamente il film al
territorio dei luoghi comuni. Affiora così al di là dellimmagine pubblica un
groviglio di fragilità, insicurezze, difetti e imperfezioni, che invece di
distruggerne la memoria, ricostruiscono della Monroe un quadro femminile
affascinante, man mano che ne decostruiscono linvenzione divistica. Dunque la
donna o la diva o il mito, che è lo stesso.
Allo
scopo di mantenere una certa fedeltà ai fatti non solo a quelli descritti dal
libro di Clark, ma anche alla vicenda del film realizzato nel 1956 parte delle
riprese si sono svolte presso i Pinewood Studios, gli stessi in cui fu
girato Il principe e la ballerina e
a Parkside House, dove Marilyn soggiornò durante le riprese di quel film.
Così se il set di oggi e quello di ieri si sovrappongono, la mise en abξme “sprofonda” vertiginosamente laddove
intervengono le sequenze in cui si girano alcune
scene de Il principe e la ballerina e segnatamente quelle in cui Marilyn è impegnata nelle prove di un
numero coreografico, nei panni di Elsie, la protagonista. Un altro
momento musicale del film (quando Marilyn canta e danza il medley When Love Goes Wrong - Heat Wave in
apertura del film), appare inscritto nella cornice di uno schermo
cinematografico, davanti al quale conosciamo lestasiato Colin Clark (Eddie
Redmayne, è un perfetto giovane e impacciato “good fellow” dellalta
borghesia britannica), sottolineando dunque sin dallincipit la forte
caratterizzazione metalinguistica del film.
La
celebre attrice; la fragile Norma Jeane Baker (vero nome della Monroe) e la
svampita showgirl protagonista del
film di Olivier, non sono altro che le diverse facce di uno stesso poliedro,
tutte riconducibili in fin dei conti ad una sola: il volto di Marilyn. Ma il gioco
di rimandi tra finzione e realtà si moltiplica ulteriormente se si considerano
i diversi ruoli che le assegna la vita: quello della moglie vulnerabile
dellintellettuale (Arthur Miller) afflitta da uno spiccato complesso
dinferiorità nei confronti del marito; quello della femme fatale; della produttrice esordiente (Il principe e la ballerina fu lunico film prodotto dalla casa fondata
nel 1955 dallattrice con il fotografo Milton H. Greene); della donna ironica e
di quella ingenua e, non ultimo, quello dellattrice insicura del proprio
talento. A questo proposito la narrazione mette bene in luce come molti degli
scontri con Olivier derivassero dal disaccordo in merito alla tecnica di
recitazione. Mentre il consumato attore britannico incarnava la vecchia scuola
teatrale basata sullartificio di uninterpretazione “esteriore”, Marilyn che
pure aveva cercato nella collaborazione con Olivier il “sigillo di garanzia” al
proprio talento con Paula Strasberg (Zoë
Wanamaker) sempre al suo fianco, credeva nel Metodo Stanislavskij, fautore
di uninterpretazione frutto di unimmedesimazione autentica nel personaggio.
Finzione e verità messe a confronto dunque, ma anche la disperata ricerca di
qualcosa in cui credere: il Metodo come una religione, il drammaturgo russo
come un messia, latore di un verbo divino al quale aggrapparsi per sfuggire
alla disperazione di una condizione quella della diva che doveva essere
sembrata una meta alla ragazza povera cresciuta in affidamento e che si era
rivelata invece solo un vuoto da riempire, dalcol e medicinali. Agli antipodi
cè Olivier: consapevole di rappresentare un mondo in declino quello della
tradizione attorica ottocentesca in ultima analisi si dibatte ostinatamente,
eppure è già vinto. Traduce in immagini il suo eloquente dividersi tra amara
consapevolezza e agguerrita resistenza, il progressivo zoom in avanti della
macchina da presa sullattore, allo specchio per il make-up: lobiettivo sgrana
limmagine fino al primissimo piano, al limite col dettaglio, scrutando con
cura entomologica le particelle di trucco sul volto dellattore allo specchio,
Sir Laurence Olivier, e dietro la “maschera” quello di Kenneth Branagh, non a caso entrambi interpreti e/o registi di
testi shakespeariani.
Se
tecnicamente, si è detto, il punto di riferimento costante è il cinema
americano degli anni ‘50, del montaggio invisibile, dei colori saturi e dello
splendore hollywoodiano, Curtis screzia a tratti la limitata tavolozza del
cinema classico, tingendola di felici soluzioni visive, come, allinizio del
film, i fermo immagine in bianco e nero che immortalano Marilyn e Arthur Miller
in conferenza stampa, prima dellinizio delle riprese: la macchina da presa
arresta il proprio flusso simulando i flash dei fotografi sulla scena e dunque
i celebri scatti del 1956.
Il
film vanta un cast deccezione non soltanto nel comparto degli interpreti (tra
gli altri nomi di spicco figurano Julia
Ormond e
Judi Dench), ma anche in quello “di post-produzione”: Alexandre Desplat, ha composto il Tema di Marilyn appositamente
interpretato dal pianista Lang Lang
mentre Conrad Pope il resto della
colonna sonora.
Chiudiamo
con il ruolo della protagonista: Michelle
Williams, che ha
indubbiamente il physique du rτle, grazie
anche ai costumi di Jill Taylor e al
trucco di Jenny
Shircore, impersona magnificamente
Marilyn, riuscendo a consentire limmedesimazione dello spettatore,
convincendolo della finzione sullo schermo nonostante quello della Monroe sia a
tuttoggi un volto-icona fin troppo inflazionato e dunque di difficile
contraffazione. Inoltre, onore al merito, la Willliams canta e balla i numeri
musicali del film in prima persona, dando prova del proprio talento attorico,
oltreché dellaccurato studio condotto sulla mimica, lo stile canoro-recitativo
e la gestualità caratteristica della Monroe. Basti pensare al numero musicale
che chiude il film delineandone così la struttura circolare di una tranche de vie chiusa su se stessa come
la vita della celebre diva. Mentre canta That
Old Black Magic, vediamo Michelle Williams/Marilyn, come nellincipit del
film, incorniciata dal frame di uno
schermo cinematografico. Il cerchio si chiude sulla donna o la diva o il mito,
che è lo stesso.
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