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Delitti a scena aperta

di Roberto Fedi
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Data di pubblicazione su web 20/09/2002  
Ogni tanto ci si chiede come mai i serials italiani di solito fanno ridere (quelli seri: quelli comici o leggeri, piangere), e da quelli made in USA non riesci a staccarti. Semplifichiamo. I film, e anche la loro estensione televisiva che sono i serials, in America li sanno fare, e qui da noi no. Si parla, naturalmente, di film narrativi: con una bella storia, bei personaggi, interpreti all'altezza, intrecci convincenti e ben strutturati, azione calibrata, rapporto pubblico-privato credibile, scene che sembrano prese davvero dalla realtà, regia all'altezza e dialoghi ben fatti, che non lasciano spazio alle lungaggini. Insomma, come accade in C.S.I. - Scena del crimine (Italia 1, venerdì ore 20.45).

L'idea della serie è apparentemente un uovo di Colombo. Il delitto, o meglio la scena del delitto, è qui il punto di partenza, non d'arrivo di una storia. Sulla scena arrivano gli investigatori, ma non degli Holmes qualsiasi. Sono quelli della Scientifica, con le polverine, le macchine fotografiche, i marchingegni. "Chiama la Scientifica" è, da sempre, la battuta che nei gialli tradizionali chiude la scena; dopo, il detective di solito riceve una telefonata, o una cartellina, con gli esiti dell'analisi (impronte, capelli…). Sarà allora lui a sciogliere la matassa, magari con qualche sparatoria e qualche cazzotto.

Non qui. Qui, per così dire, 'i morti parlano'. La storia comincia proprio quando arriva la Scientifica, che, induttivamente, deve ricostruire la vicenda, che quindi procede dal particolare (magari microscopico) all'universale, e, narrativamente, per analessi, cioè a ritroso: si parte da un tale con un buco nella pancia per arrivare a ricostruire un intrigo familiare, una passione torbida, un 'privato' sconosciuto. Las Vegas, che è sullo sfondo, diviene la grande scena del piccolo delitto, la scena della scena - per così dire. Crime Scene Investigation è il titolo completo della serie (premiatissima in Usa), e ne è quindi la chiave interpretativa, anche in senso teatrale. E gli uomini della Scientifica non sono dei tizi anonimi con l'impermeabile e qualche scatolina, su cui la telecamera glissa; sono i protagonisti, i veri investigatori. I narratori, si direbbe. La serie è quindi l'evoluzione della tradizionale crime story: la realtà, per essere capita, deve essere pazientemente interrogata e non presa a calci. In qualche piega nascosta può stare la verità, che ha anche qualcosa di pirandelliano perché è sempre diversa dalla sua apparenza, e qualcosa di positivo perché, alla fine, le 'piccole verità certe' compongono la grande verità. Anzi, il racconto.

I protagonisti, come di regola, sono inseguiti nel loro intreccio quotidiano di vita professionale e di vita privata: ciò dà spessore al testo, permette di affezionarsi. E sono quasi più veri del vero - mai, insomma, qui accadrebbe di vedere Frassica nei panni di un carabiniere (da piangere), o Claudia Gandolfi in quelli di un commissario di polizia (da morire dal ridere: come volevasi dimostrare). Le loro storie private procedono per tratti successivi, immergendo lo spettatore nella scena, in una sorta di indiretto libero televisivo. Le singole indagini si intrecciano e si svolgono in contemporanea, come nella vita; intorno, le atmosfere sono spesso buie, con inquadrature e movimenti di camera strepitosi, come si addice alla vita di una città-non città come Las Vegas, piena di luci ma che esiste prevalentemente di notte, in un perimetro che per gli investigatori è quello delineato dalle fettucce gialle della polizia intorno alla scena del crimine, e che per noi si allarga alle strade notturne, ai mega-alberghi illuminati, ai Casinò, e al grande deserto tutto intorno.

Come sempre in questi film (chiamarli telefilm è riduttivo, come per E.R., il grande serial che tra poco riprende: lo aspettiamo) l'accuratezza della ricostruzione è eccezionale: il che dà a tutto un senso di iper-realismo, più che di realismo puro e semplice. Di vera opera d'arte figurativa, si direbbe. Tutto il contrario di quello che solitamente accade nei telefilm (è invece il caso di chiamarli così) italiani, dove la città che circonda i protagonisti è invece un'entità casuale, puramente decorativa, uno sfondo di carta (domanda: dove si svolgeva il recentissimo Padri di Rai1? boh: a giudicare dall'accento degli attori [attori?], in almeno cinque o sei città contemporaneamente). O dove può succedere (è successo) che in una scena ambientata a Genova il personaggio scenda da un taxi che - si deve pur risparmiare - ha, visibilissimo sulla portiera, il simbolo dei taxi di Roma. Pardon : 'de Roma'.

C.S.I - Scena del crimine

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