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Quelle ciliegine che fanno la differenza

di Elisa Uffreduzzi
  Ciliegine
Data di pubblicazione su web 17/04/2012  
                                 

Ciliegine è innanzitutto «uno scherzo intorno alla commedia sentimentale», nelle parole della stessa regista Laura Morante, qui al suo felice esordio dietro alla macchina da presa. Parlando della sua avventura registica, l’attrice ha recentemente confessato le difficoltà incontrate in veste di co-produttrice del film, ma anche il piacere della scrittura per il cinema, che sta alla base di Ciliegine (sceneggiato insieme a Daniele Costantini), risultato di una lunga gestazione (sette anni) e di vicissitudini produttive che hanno portato a trasferire il progetto in Francia. Di qui il malinteso per cui i francesi ritengono che sia un film tipicamente italiano, mentre gli italiani lo considerano tipicamente francese. Probabilmente la verità sta nel mezzo, ma l’ambientazione francese ha dato al film se non altro quel “respiro europeo” che ne garantisce la spendibilità a livello internazionale. I sentimenti in gioco poi sono talmente universali che stabilirne una cittadinanza risulterebbe francamente impossibile, oltre che inutile. Amanda (Laura Morante) – già il nome ne sancisce l’imprescindibile bisogno d’affetto – è l’ostinata editor di una casa editrice. Affetta da grave androfobia, finisce inevitabilmente per far naufragare ogni relazione che intraprende, di volta in volta convinta che i piccoli e trascurabili difetti riscontrati nel partner siano sintomi inequivocabili di un animo egoista e insensibile e dunque insormontabili ostacoli alla propria felicità. Ormai persuasa della propria teoria refrattaria agli uomini, l’unica presenza maschile in cui riesce a trovare un po’ di consolazione è Antoine (Pascal Elbé), che ha tutte le caratteristiche che cerca in un uomo: sensibile, attento, qualcuno con cui condividere serenamente i propri interessi. Peccato che sia gay! O almeno questo è quello che lei crede …

 




 

Per stessa ammissione dell’attrice, in questa brillante commedia degli equivoci abbondano i cliché del romanticismo più trito: dalle tende di mussola bianca ai caminetti, ai petali di ciliegio trasportati dal vento e a Parigi, naturalmente; ma intelligentemente proprio su questi si fa dell’ironia, dimostrando così che si può far ridere – e sorridere – con un pizzico d’arguzia, senza dover per forza ricorrere alla commedia scollacciata, cui troppo spesso ci ha abituati il nostro cinema.

Amanda è in fin dei conti una donna sentimentalmente immatura – ci dice ancora la Morante – che, innamorata dell’amore prima e ancor più del suo Bertrand (Frédéric Pierrot), è terribilmente intollerante e puntigliosa con gli uomini e finisce per essere vittima della sua stessa intransigenza. Non a caso una delle persone con cui va più d’accordo è una bambina, Noemi, figlia della sua miglior amica Florance (Isabelle Carré) e di Hubert (Patrice Thibaud), lo psicanalista che la taccia di androfobia.

Il ritmo veloce, insieme all’ironia pungente, stemperano la melassa con un pizzico di amarezza, impedendo al film di scadere nella banalità. Certo aiutata da un cast di buon livello professionale (compare "di sfuggita" anche Ennio Fantastichini, nel ruolo di un improbabile arabo), Laura Morante, nella duplice veste di regista e interprete del film, dimostra di sapersela cavare piuttosto bene. Piacevole l’uso del sonoro, con i dialoghi che spesso anticipano e introducono la scena successiva, talvolta a partire dallo schermo nero, talaltra dall’ultimo quadro della scena precedente. Gradevoli anche alcune soluzioni visive come la citazione di Humphrey Bogart che ci regala Antoine, quando ne imita il look per riscattare la sua immagine di macho, allorché esce per incontrare Amanda, certo di svelarle la verità. O ancora il successivo carrello a precedere sui piedi di quello che crediamo Antoine e che invece scopriamo essere un passante qualunque – per giunta vecchio e brutto – i cui passi ci hanno però condotto al locale in cui proprio Antoine e Amanda stanno chiacchierando. Tanti e vari gli spunti registici e di riflessione offerti da una piccola commedia che, come spesso accade, scherzando racconta la verità, quella sui rapporti umani e  sull’amore di coppia, che quando dallo schermo scende nella quotidianità, si scontra con l’imperfezione. Ed ecco allora Hubert che si taglia con cura certosina i peli del naso o legge il giornale mentre la moglie gli parla in lacrime. Sono queste le ciliegine del titolo: quei particolari del quotidiano che fanno la differenza, o forse no. In fondo è l’antica ricetta della commedia all’italiana che torna, sempre valida e convincente. Dunque sì, in questo senso è un film tipicamente italiano.

 




 

Se proprio si volessero cercare delle pecche, si potrebbe obiettare che l’intero plot sia tutto sbilanciato sulla protagonista e ruoti inverosimilmente solo attorno a quel personaggio e alle sue vicende sentimentali, ma il gioco è talmente scoperto che risulta evidente quanto si tratti di una scelta pienamente consapevole. Bastino a confermarlo “l’afasia” della piccola Noemi e tutto sommato anche di Antoine: non sono che maschere, proiezioni della protagonista, che di volta in volta nel teatro della sua mente assegna a ciascuno le parti, all’una quella dell’età dell’innocenza, all’altro quella dell’omosessuale prima, poi dell’amante dolce e premuroso.

Ci piace chiudere come il film: con l’esilarante primissimo piano di Amanda/Laura Morante, gli occhi sbarrati, che inorridisce di fronte all’ennesimo sintomo di egoismo maschile, lasciandoci con un punto interrogativo sul futuro della storia, ma anche, in fondo, sulla nostra capacità di tolleranza.




Ciliegine
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