Ci risiamo: un altro film ben fatto, dispendioso, elegante e non immune da pretese (più o meno come White deer plain di Wang Quanan dedicato alla storia di un villaggio cinese tra il 1912 e il 1937) ma sostanzialmente inerte. Non certo nelle intenzioni (che anzi anche in questo somigliano per la volontà dei loro autori di fare i conti con la storia del proprio paese) ma nel risultato privo di interesse se non storiografico certo cinematografico. Se lopera del cineasta cinese rimanda almeno ai fasti visivi dellopulenza immaginifica di Zhang Yimou, il giovane danese sceglie invece il nitore luministico dellatmosfera nordica e un taglio narrativo “illuministico” cioè didattico che ben si attaglia alla storia da raccontare ma non travolge certo lo spettatore. Che se ne sta lì davanti ad un teleromanzone assai corretto nella grammatica filmica ma non così immune da libertà creative da valer almeno come ripasso scolastico.
Il protagonista infatti, il dottor Johann Friedrich Strunsee (poi conte, favorito del folle re Cristiano VII di Danimarca e quindi amante della di lui moglie la povera innocente Carolina Matilde dInghilterra) che i ritratti ci presentano come uno slavatone viene incarnato da Mads Mikkelsen, dallaspetto di irresistibile avventuriero mediterraneo. Il che mette subito in secondo piano la sua fede illuminista e il suo legame, anche ideologico, coi fragili sovrani. La sua abilità nel controllare gli alterati stati mentali del sovrano e la sua sincera fede nellavvento dei lumi, i suoi interventi a favore dei contadini e i suoi tentativi di riforma restano come proclami. Tutto linteresse si volge all“affair” con la regina: ai balli, agli amplessi, ai turbinii di trine e sospiri. Sì, uno sparuto numero di figuranti di tanto in tanto viene inquadrato lacero e stizzoso, alcuni personaggi secondari si assumono il compito di rappresentare la corte retriva e la sua corruzione ma la regina madre ha lo sguardo inflessibile di una inevitabile Malefica e a poco servono le crudezze finali, con il vertiginoso riassunto dellesecuzione sulla ghigliottina, della deposizione del re e dellallontanamento della regina dal trono e dai suoi figli. I quali, ormai cresciuti, vengono finalmente edotti da una lettera nella quale la madre (che non avrebbero mai più rivisto) narra lintera storia, mettendo in luce sia pur indirettamente la violenza a cui, anche di condizione regale, la donna era di fatto sottoposta. Ma anche questi temi sono ormai merce corrente.
Stanno tornando, dopo anni di demonizzazione, le voci off, i racconti in prima o terza persona che fanno da filo conduttore allintera vicenda. Per una curiosa coincidenza creativa lidentica struttura è la protagonista del ben diversamente interessante War Witch in cui la giovanissima madre bambina-guerriera congolese racconta al proprio figlio non ancora nato la storia della sua tragica vita, sperando che questa confidenza la induca a non odiarlo e allontani da lui il rancore per lo stupro di cui è stata vittima.
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