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Amleto, ovvero
la danza macabra della coscienza


di Lorenzo Galletti
  Amleto
Data di pubblicazione su web 07/02/2012  


La messinscena dell’Amleto ad opera del Teatro del Carretto coglie in pieno l’universalità che fa del testo di Shakespeare un classico, ovvero la capacità di comunicare a distanza di secoli con un pubblico che, seppure viva in una società tutta diversa da quella dell’autore, si pone però ancora le stesse domande sui segreti dell’esistenza. Sì, perché al di là dello spettro del re, della pazzia del principe di Danimarca, del consueto “dialogo” col teschio e della messe di vittime del finale, cos’è la tragedia di Amleto se non la tragedia dell’uomo, in ogni tempo? Nel dramma shakespeariano l’instabilità della mente umana, espressa esemplarmente nell’opposizione «essere o non essere», è estesa a tutta la figura del protagonista. Questi è elevato a oggetto di studio paradigmatico della psiche umana, teso tra paura e passioni, tra volontà primitiva di vendetta e ricadute nella follia.

 


Una scena dello spettacolo, al centro Amleto

 

Il lavoro di Maria Grazia Cipriani e del Teatro del Carretto è importante perché non guarda a Shakespeare come a un oggetto misterioso e intoccabile, cercandovi invece instancabilmente l’uomo di ogni tempo per poterlo raccontare all’uomo d’oggi. In questo Amleto tutta la vicenda si consuma nella mente del protagonista, la pazzia è raccontata dall’interno. Per questo perfettamente funzionale si dimostra la scena polisemantica di Graziano Gregori: una scatola di tendaggi rossastri che ricorda tanto le celle di isolamento dei manicomi quanto l’interno sanguigno di un organo fisico. Di questo ambiente soffocante Amleto è l’unico prigioniero, ma anche la vittima sacrificale. I tagli che separano i tendaggi sono le ferite della sua mente travagliata. Attraverso di essi entrano ed escono tutte le altre figure della vicenda, i suoi silenziosi – biancovestiti – carnefici. Ma gli stessi tendaggi delimitano anche il luogo dell’azione da quello dell’ascolto, popolato da figure che origliano quanto e più di Polonio, che spiano il lavorio macchinoso del cervello amletico, sempre pronti a colpire ogni sua debolezza. I proiettori ben visibili sulle teste dei recitanti sono le lampade della camera operatoria, in cui Amleto seziona e mostra al suo pubblico la propria anima e le proprie angosce.

 

Complementare alla scena, e non potrebbe essere altrimenti, è l’operazione condotta da Maria Grazia Cipriani. Il primo evidente intervento è quello sul testo, che mette in atto vestendo i panni del dramaturg nel senso più germanico del termine: inserisce e taglia (eliminando ad esempio Orazio, unico personaggio positivo del testo shakespeariano). Oppure sposta le scene per renderle più funzionali alla rappresentazione (sceglie ad esempio di posticipare subito prima la scena del cimitero il già citato famoso monologo, così da farne soprattutto una riflessione sulla vita e la morte). La regia, poi, trasferisce l’azione nell’intimo del protagonista. Tutte le personae del dramma sono dichiarate fin dall’inizio come proiezioni della mente del principe, che le muove, piccole statuine, sullo stretto palcoscenico della sua interiorità. Non solo lo spettro del padre, ma tutti i personaggi sono fantasmi della sua coscienza, che egli dirige passo dopo passo all’interno della storia. Ad esse suggerisce le parole da dire, come nel caso dell’incontro con Ofelia, o quello con re Claudio inginocchiato a confessare le sue colpe. Oppure le immobilizza, riducendole ad elementi dell’apparato scenografico ogni volta che lo sdegno, la furia o il coraggio sono abbastanza forti da indurlo a rimpossessarsi della sua mente e sfogare in una lunga tirata la bile accumulata. Non tanto servi, quanto parte di lui stesso, essi si muovono tra i drappi della sua psiche, spesso guidati, talvolta lasciati liberi di agire contro di lui. Sono loro che minano le sue poche certezze e ne rendono manifesta la debolezza. Per lo stesso motivo la riscrittura scenica taglia il finale con l’arrivo di Fortebraccio, così che la tragedia si completa e si esaurisce con la morte di Amleto.

 


I giochi di luce e ombra di Angelo Linzalata
 

Come la vicenda, anche la recitazione degli attori è sottoposta a continui cambi di ritmo, quando le danze macabre corali interrompono le meditazioni dell’attore solo in scena, o quando le sei figure evanescenti, inchiodate in un fermo immagine, assistono ai furiosi monologhi del principe contro se stesso. Alex Sassatelli (Amleto) detta i ritmi di questa altalena con una recitazione un po’ troppo teatrale per quello che dovrebbe essere l’unico personaggio “reale” in scena, ma tutto sommato funzionale all’incedere frammentario della sua mente distorta. Elsa Bossi è emozionante nel doppio ruolo della regina Gertrude e di Ofelia. Le due donne sembrano essere per Amleto una il riflesso dell’altra, ma rimangono cautamente distinte nell’elaborazione dell’attrice. La prima è vittima dei propri continui mutamenti d’umore, dettati dal senso di colpa per il tradimento di re Claudio; la seconda incorpora la pazzia di Amleto al punto di finire legata in una camicia di forza (che ricorda un po’ la corda che stringe il Lucky di Waiting for Godot), quando riappare prima del finale per il toccante sussurrato racconto della propria morte. Giacomo Vezzani fa di re Claudio un galleggiante in preda alle maree delle passioni, silenzioso ma presentissimo. Bravi tutti gli altri (Nicolò Belliti, Giacomo Pecchia, Carlo Gambaro, Andrea Jonathan Bertolai), che con i due attori sopracitati completano anche il sestetto dei comici, le cui pose richiamano alla mente i profili sghembi dei comici dell’Arte.

 

La gravità delle note di Henry Purcell per il Funeral for the Queen Mary nell’originale variazione di Wendy Carlos per A Clockwork Orange, che accompagna gli ingressi dei sei spettri, rilancia infine il carattere violento di tutti i personaggi che circondano il principe: è inevitabile leggere nella loro figura il ricordo dei drughi kubrikiani.

  


Una scena dello spettacolo

 

Con questo spettacolo il Teatro del Carretto si conferma una delle realtà teatrali più importanti in Italia in questo momento, portatrice di un metodo di lavoro consapevole e onesto nei confronti degli autori, pur allontanandosi dal più autentico teatro di parola. Un teatro teso talvolta, semmai, ad oltrepassare il limite, facendosi immagine pura nella ricerca di una comunicazione tutta emotiva e istantanea. Un teatro che, con il suo procedere per lampi, si spiega senza bisogno di tanti discorsi. Un teatro che rischia e si mette in gioco. Ma si sa: chi non risica non rosica!

 

 

 

Amleto
cast cast & credits
 




Amleto (Alex Sassatelli)
parla al teschio di Yorick
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Elsa Bossi (Ofelia)







 
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