Si respira aria di cinema nellultimo lavoro teatrale del talentuoso Valerio Binasco. Non solo per le stralunate atmosfere alla nouvelle vague, che pigmentano allusivamente la messinscena. La partitura drammaturgica (in originale LAide-mémoire) porta la firma prestigiosa di Jean-Claude Carrière: dramaturg storico di Brook, romanziere, ma soprattutto prolifico sceneggiatore della settima arte (come scordare il sodalizio con Buńuel o il graffio inconfondibile in capolavori di Godard, Wajda, Forman, Bertolucci). Anche il regista-attore Binasco il cinema lo conosce bene: tra le sue ultime prove davanti alla cinepresa, quelle per Paravidino e Martone. Per non parlare, poi, dellinedita coppia di protagonisti. Entrambi devono molto al grande (e al piccolo) schermo. Ennio Fantastichini, pluripremiato interprete dellultimo Ozpetek, torna al teatro dopo dodici anni di assenza (facendo rimpiangere di non averlo visto più spesso alle prese con ruoli teatrali). Isabella Ferrari, silurati da tempo i rancidi sapori di mare vanziniani, ha ormai dimostrato maturità di attrice anche in palcoscenico, confermando le sue doti dinterprete raffinata nel corale Due Partite di Comencini figlia (poi adattato per il cinema).
Una scena de Il catalogo per la regia di V. Binasco
Diretti da Binasco, i due attori si ritrovano a meraviglia nella brillante commedia a due di Jean-Jacques e Suzanne. Il primo, avvocato single di mezza età baciato dal successo (scapolo doro, si sarebbe detto un tempo), colleziona sera dopo sera avventure galanti con donne sempre diverse (centotrentaquattro in tutto, una di più, una di meno), contabilizzandole nel catalogo del titolo come antidoto contro una memoria non proprio di ferro. La sua esistenza “borghese”, amministrata con puntualità manageriale, scandita dai cambi dabito («Lei passa tutta la vita a cambiarsi!», gli farà notare Suzanne), è sconvolta dallarrivo di una misteriosa donna venuta da fuori, la quale si insedia nel suo monolocale senza troppi complimenti. Una mina vagante con tanto di valigia stracolma al seguito e una bracciata di riviste con annunci di appartamenti in affitto come alibi. Senza una casa. Senza un lavoro. Senza nessuno. Solo un certo signor Ferrand da cercare.
Come prevedibile, il cinico dongiovanni cederà al candore disarmante della donna, ma non è questo punto a interessare Carrière (e Binasco). Il nodo su cui riflettere è, semmai, limpossibile incontro tra due solitudini, cortocircuitato nelle sabbie mobili dellincomunicabilità (non è un caso che i due si diano del lei dallinizio alla fine). È il muro di vetro che si stabilisce inevitabilmente tra di loro, anche quando Jean-Jacques, al colmo di una passione inesplosa, prende Suzanne sulle sue ginocchia, nellestremo tentativo di afferrarla, di inventariarla al pari delle altre donne (ugualmente, in fondo, mai comprese). Così devono leggersi le richieste insistite di lui per strapparle il proprio nome: come se il nome significasse qualcosa, pirandellianamente parlando. Anche Suzanne si sforzerà inutilmente di capire qualcosa delluomo, leggendo e rileggendo il suo diario-catalogo; e ciò nonostante abbia preso ormai possesso della sua casa, della sua vita («Lei ha vinto», ammette un rassegnato Jean-Jacques, più o meno a metà pièce).
Ennio Fantastichini (Jean-Jacques) e Isabella Ferrari (Suzanne)
Se il volto di Fantastichini addiziona grumi di emozione, in bilico tra nevrosi subitanee e chiazze di caos calmo, la Ferrari è brava nel gestire con imperturbabile autocontrollo un personaggio non facile, di cui si annovera, negli annali di teatro, tra le altre, la sublime interpretazione di Fanny Ardant. Lattrice italiana azzecca sempre i tempi comici, carica la sua Suzanne di un accento esteuropeo che la rende (a nostro avviso efficacemente) sopra le righe, oltreché essere funzionale allestraneità che vuole comunicare. Secca e incisiva la regia di Binasco: testo “asciugato” rispetto alloriginale, ritmo dialogico serrato, stacchi di buio con accompagnamento musicale a far da cornice tra una scena e laltra. Una partitura che funziona a orologeria, con il rischio talvolta di risultare un po meccanica (poco sfumato, ci sembra, il passaggio di Fantastichini dal rifiutare la donna al desiderarla).
Se cè un merito nella regia di Binasco, questo consiste nella valorizzazione del potenziale ironico (ancorché amarissimo) presente nel testo (tante le risate in sala). Altro valore aggiunto, lindividuazione nella commedia di un terzo “personaggio”: lappartamento. Scenograficamente realizzato da Massimo Bellando Randone, lappartamento al quinto piano di Jean-Jacques si configura come un angusto monolocale perfettamente funzionale, organizzato intorno alla camera dominata da un letto perennemente sfatto dove dormire o consumare freddi rapporti sessuali. Ai lati, i “servizi”: il bagno, dove radersi o spogliatoio alla bisogna; e il cucinotto, con la macchinetta del caffè sempre pronta alluso e un frigorifero utilizzato per custodire fiori da riciclare per rendez-vous galanti. Poi un citofono; un telefono. Unico orpello: una lucertola impagliata.
Isabella Ferrari e Ennio Fantastichini in una foto di scena
Da passivo luogo fatto su misura del suo proprietario, il monolocale si trasforma, con larrivo di Suzanne, in una specie di organismo vivente, risolto in scena grazie allottimo lavoro delle luci (firmate dallo stesso Bellando Randone), che scompongono e ricompongono la casa quasi donandole vita propria. Del resto, lappartamento rappresenta per la donna un misterioso oggetto del desiderio, rivelandosi, nel finale, un terzo incomodo tra lei e Jean-Jacques. Come annota Binasco nei suoi appunti di regia, «il mito di don Giovanni vuole laria aperta: se ci fate caso è proprio quando don Giovanni sta nella casa che si spalancano per lui le porte dellinferno. Il vero don Giovanni odia stare al chiuso». Tutto vero. Né Tirso né Mozart-Da Ponte avevano sulle spalle il fardello di un certo esistenzialismo novecentesco.
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