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Scherzi di memoria e sensi di colpa

di Gianni Poli
  Un momento dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 30/01/2012  

Un uomo e una donna s’incontrano in un pub dopo una lontananza di due anni. Amanti, in precedenza, sono ancora invischiati in questioni pratiche, come la chiusura dell’appartamento clandestino. Siamo nel 1977, a quanto indicato nella proiezione fotografica che sulle due pareti di fondo rappresenta l’arredo del locale (la scenografia sarà cangiante, grazie alla dissolvenza incrociata e a un Cameriere anche servo di scena). I convenevoli imbarazzati e ipocriti, le citazioni ironiche e svagate, stabiliscono subito il clima di bugie e reticenze, che sembra connotare l’intero racconto. I ricordi frammentari richiamati da entrambi azionano la rievocazione del rapporto iniziato nove anni prima. Ma entrando nella commedia di Harold Pinter (scritta nel 1978), risalta innanzitutto la «novità» drammaturgica, in quella struttura sconvolgente il consueto andamento cronologico della vicenda e della sua rappresentazione. Spiegava programmaticamente l’autore, al tempo della prima rappresentazione: «È solo il trucco della memoria. La memoria è così. Comincia tutto dall’ultimo istante, si riavvolge all’indietro…Mettendo tutto questo alla rovescia, in Betrayal ho preso la memoria alle lettera, la memoria senza la logica, che è una macchina stupida, come tutte le macchine». Pertanto si imponeva, oltre il soggetto prelevato dal canonico triangolo - presente ad esempio in La collezione (1962), con la gelosia di un marito sospettoso della moglie o in L’amante (1963), scene di scontro di coppia violento - un ribaltamento temporale alle sequenze della storia di Emma e Jerry e del marito di lei, Robert, collaboratore e amico del rivale. Dall’inizio dello spettacolo, che mostra l’incontro conclusivo, si torna, lungo nove scene, al punto di partenza, quando nasce la relazione. Si rivivono così, dal 1977 al 1968, l’incontro fra i due amici, in cui Robert ammette di sapere; un appuntamento fra gli amanti (1975), già in crisi e che, fra bilanci e rimpianti, decidono di lasciarsi; un episodio dell’anno precedente, in cui i due uomini discutono di lavoro (l’uno essendo editore e l’altro il suo consulente letterario) e si ripromettono una partita a squash; durante un viaggio a Venezia (1973), Emma confessa a Robert e i due prendono atto della situazione reciproca. Nelle tappe a ritroso, seguono un incontro fra Robert e Jerry, con allusioni ardue da stornare per il colpevole; e l’incontro fra la donna e Jerry, in cui lei rivela di essere incinta…del marito. Infine (1968), durante una festa in famiglia, avviene la dichiarazione d’amore improbabile e iperbolica, ma irresistibile, per la quale Jerry ed Emma si danno la mano sulla soglia di un futuro immaginato felice.

 


Enrico Ianniello e Nicoletta Braschi

 

Da simile calco deformato d’un drawing room play, nascono implicazioni di notevole attualità, nella serietà e nella profondità dell’analisi esistenziale. La regia di Andrea Renzi, rispettosa quasi alla lettera delle indicazioni testuali, calibrate e avare di effetti, coglie un significativo, sfuggente sottotesto e lo concretizza in sorrisi di disagio, canticchiare elusivo, lievi trasalimenti e smorfie, movimenti e spostamenti pretestuosi o nevrotici. Ma l’impostazione resta forse un po’ pavida di fronte alle potenzialità capaci di esplodere in momenti rivelatori di ulteriori gravi malesseri. Il regista sceglie le soluzioni più apparentemente elementari di resa drammatica, con una recitazione controllata, quotidiana, dal naturalismo spontaneo e immediato; precisa e aderente a distinguere ogni carattere, ma mai spiazzante o stridente, nelle contraddizioni delle situazioni più laceranti. Così come non vengono sottolineati i passaggi-chiave, quelli almeno delle rivelazioni, fra i personaggi e agli spettatori, nelle svolte fondamentali nel plot. La critica (Michael Billington) ha indicato ad esempio l’episodio in cui Emma capisce che il marito sa e il suo tormento si concentra nella torsione e nella risalita impossibile a un tempo perduto, passaggio non sottolineato dagli interpreti. Insomma, nella Emma di Nicoletta Braschi, il protagonismo non s’afferma nel risalto dei registri vocali o nei comportamenti recisi: è piuttosto la sua una partitura minimalista di variazioni, senza scarti di volume e timbri, tanto da lasciare il dubbio su qualche inadeguatezza espressiva. La donna che qui incarna la forza della natura, procede con una nonchalance prossima all’impassibilità se non alla monotonia. D’altro canto, emerge chiara la differenza nella sensibilità pinteriana, fra maschile e femminile, per cui Emma, guidata dal sentimento, mostra di vivere sinceramente la suggestione della favola (poi soffrendone la mutevolezza e la decadenza) e valuta l’appartamento un nido d’amore, mentre il partner lo sente appena funzionale alle garanzie della privacy.

 


Un momento dello spettacolo

 

Gli interpreti maschili stabiliscono a loro volta un gioco di coppia, nell’amicizia, insieme esaltata e contraddetta. Partono da Robert le battute (o clausole) più tremende, dalla sua figura resa da Tony Laudadio consapevole d’una debolezza nella quale non può concedersi cedimenti visibili. Anche corporalmente contrasta la propria situazione e sfrutta il vantaggio di un giudizio non emotivo, emesso dall’esterno. Non può né intende mutare il destino, non interviene per smascherare la tresca, anzi a sua volta la imita e la replica. La sua voce è la più chiara e forte, senza accusa o rimpianto; dal suo centro partono i segnali più allarmanti, negandosi la reazione e la rivolta, che sarebbero causa di maggior dolore. Enrico Ianniello è un Jerry dal nervosismo allegro e non lieto; assuefatto alla consunzione, alla degradazione del sogno, dopo la novità dell’amore e la coerenza, poi perduta per comodi cedimenti, fino all’indifferenza. Manca forse nell’insieme della rappresentazione (vista in tournée al Teatro Duse di Genova) un tracciato analitico preciso (di fronte a quello che nel testo si afferma per ambiguità) della crudeltà di ciò che è successo e di quanto ha significato per i protagonisti. Resta lo sforzo frustrato di un recupero del passato, ma non l’esito di un chiarimento (tanto meno cambiamento) del senso della vita personale. Nella facoltà del ricordare, più che nella sedimentazione della memoria, risiede l’eventuale riconquista di un’identità smarrita. In questa commedia a-drammatica si consuma una fenomenologia tragica senza clamorosi traumi palesi. L’occultamento di tali presenze, è anzi la causa efficiente e nascosta (misteriosa?) della realtà finale, conseguita in calando, in statico gelido silenzio.


Tradimenti
cast cast & credits
 


Nicoletta Braschi
e Tony Laudadio




 
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