Che nessuno tocchi lUnità dItalia. Gli allergici al patriottismo storcano pure il naso: il correttissimo omaggio che Maurizio Scaparro confeziona per i centocinquantanni tricolori è quello di un bravo cerimoniere che, a ragione e con sapienza scenica, non ha nessuna intenzione di rovinare la festa. Massimo rispetto per un maestro come Scaparro, che ha messo la faccia e il cuore in un originale progetto di grande ambizione, Il teatro italiano nel mondo, di cui questo spettacolo è un capitolo.
Il sogno dei mille racconta come fu fatta lItalia, e di che sangue e di che sogni grondò lepopea garibaldina, attraverso un testimone deccezione: Alexandre Dumas père. A bordo della goletta Emma, armato di penna e di ideali, lautore dei Tre Moschettieri seguì, è noto, lavventurosa risalita delle camicie rosse dalla Sicilia a Napoli, appuntando fatti e facce di guerra in un reportage zeppo di giudizi acuti (Les Garibaldiens). A Napoli lo scrittore francese fondò il quotidiano bilingue LIndipendente e fu nominato, dallamico Garibaldi, sovrintendente degli scavi di Pompei e direttore delle biblioteche.
Giuseppe Pambieri (Alexandre Dumas père)
Nello spettacolo di Scaparro, Dumas non è in mare a scrivere il suo diario, ma a Napoli, nel chiuso del proprio studiolo di Palazzo Chiatamone, in comoda vestaglia. È la notte di san Gennaro: il futuro Eroe dei due mondi è appena sbarcato nella città partenopea, il Regno delle due Sicilie è imploso e i napoletani fanno festa con canti e balli. Allimprovviso, danzando sulle note del “valzer di Garibaldi”, irrompe nella camera-studio un curioso personaggio in cerca dautore, il guizzante scugnizzo Angelino. È un povero cristo ingiustamente incarcerato, anzi no, è un soldato borbonico disertore che ha colpito a morte un commilitone che torturava un garibaldino. Lantefatto presenta qualche crepa, ma è il futuro che conta. Dopo aver sollevato al cielo come un feticcio unimpolverata camicia rossa, lAutore troverà al simpatico personaggio un posto nel suo romanzo proprio nel finale (a sorpresa).
La suggestiva messinscena è tutta giocata sulla parola. Stemperato dalle note dal vivo della coppia di musicisti in scena (gli ottimi Cristina Vetrone e Michele Maione) è il serrato dialogo tra Dumas (Giuseppe Pambieri) e Angelino (Vincenzo Nemolato) a tenere banco. Un confronto a due che funziona sui contrasti: lautorevole romanziere dallinappuntabile italiano (con sterzate in francese) e il napoletano del popolo dalla lingua lesta e il cuore grande; la prosa liricheggiante dei brani tratti dai Garibaldiens (adattati da Roberto Cavosi) e il vivace racconto di guerra, in prima persona, dellex soldato borbonico. Faranno tesoro luno dellaltro: il primo attingendo energia dal basso per rinsanguare il suo romanzo; il secondo inquadrando i propri aneliti di libertà nel sogno di una libertà collettiva.
Vincenzo Nemolato (Angelino) e Giuseppe Pambieri (Dumas)
Tanti e succosi i temi affrontati nello spettacolo: il rapporto arcaico tra la rivoluzione e il potere; le storie inghiottite nella Storia; la mitopoiesi delleroe (“Garibaldi è immortale!” proclama Angelino); le contraddizioni intestine allItalia balbettante di ieri e di oggi, sospesa tra laspirazione allunità geofisica e i particolarismi culturali sintetizzati (semplificati?) dai dialetti. Topica quanto efficace lidea di identificare lanima del bel Paese con Napoli, e litaliano tipo con il napoletanissimo Angelino: poetico e guascone, superstizioso e romantico, millantatore impenitente ma in fondo sincero. Non mancano neppure i riferimenti sarcastici allattualità (vietato girare coi fucili scarichi a Napoli!), compresa quella di più triste emergenza («Pompei non interessa a nessuno, solo a me», sentenzia un rassegnato Dumas).
Vincenzo Nemolato e Giuseppe Pambieri
in un momento dello spettacolo
La regia opta per un efficace teatro teatrale: una messinscena con oggetti di stampo “naturalistico” disposti in ordinato sapiente disordine; gags affidate, il che non stupisce, alla irresistibile comicità della maschera napoletana (Scaparro aveva già lavorato – come è noto – su Pulcinella); atmosfera dambiente affidata alla musica.
Proprio le note musicali chiudono lo spettacolo. Un apprezzato fuori programma, un vero e proprio colpo dala della regia: dico il “valzer di Garibaldi” (bissato) e i pezzi risorgimentali nobilitati dalla voce rupestre della Vetrone. Inni nellinno: quello garbato, personalissimo, di Maurizio Scaparro allItalia. Liberi, poi, di non metterci la mano sul petto.
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