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Cavalli si nasce

di Luigi Nepi
  Dark Horse
Data di pubblicazione su web 07/09/2011  
                                 

Todd Solondz è un regista di culto, che ha trovato nel concorso della Mostra del Cinema di Venezia il luogo prediletto per le anteprime dei suoi film: prima Palindromes (2004), poi Life During the Wartime (2009) e adesso Dark Horse, ma tanta fiducia inizia, a mio avviso, ad essere lievemente malriposta. I film di Solondz sono estremamente riconoscibili perché hanno tutti una marcata caratterizzazione stilistica: una fotografia particolarmente nitida (con forte predominanza di colori primari e secondari molto saturi e definiti), dei personaggi intenzionalmente stravaganti altrettanto chiari e lineari, una sceneggiatura particolarmente attenta ai dialoghi (con battute spesso taglienti e surreali) e almeno una scena in cui i protagonisti parlano al ristorante seduti al tavolo su quei divanetti ad angolo che ne sostituiscono le sedie.

 


Una scena del film

 

In questo senso Dark Horse non fa eccezione, per cui gli ammiratori di Solondz in cerca di conferme possono stare tranquilli e godersi il film. Tuttavia chi lo segue con occhio meno acritico, può avere, invece, la sensazione che qualcosa non funzioni, come, per altri motivi, era già accaduto per Palindromes. Anche qui Solondz rinuncia alle storie corali, per raccontare le vicende di Abe, un odioso trentacinquenne viziato e sovrappeso che ha un grande complesso di inferiorità verso il fratello bello, comprensivo e stimato medico, mentre lui è costretto a fingere di lavorare nell’agenzia immobiliare del padre e vive ancora con i genitori, nella sua cameretta a pois rossi, piena di action figures dei fumetti. Abe gira per la città con un improbabile Hummer giallo e incontra Miranda, una ragazza frustrata, depressa e stordita dagli psicofarmaci, con la quale tenta di iniziare un’improbabile relazione, finendo solo per acuire tutti i suoi problemi e le sue nevrosi.

 

Dato che formalmente siamo di fronte al solito film di Solondz (quindi prendere o lasciare), i problemi sorgono, più che altro, a livello narrativo: la storia infatti dimostra molto presto di avere il fiato corto, anche perché Solondz non sembra molto intenzionato a sfruttare tutte le possibilità che i suoi personaggi potrebbero offrigli (persino le battute appaiono più scontate che nei film precedenti), finendo così per incartarsi in un gioco di continui rimbalzi tra la realtà e i sogni di Abe, che risulta più ripetitivo che divertente.

 


Una scena del film

 

Dark Horse si va ad aggiungere alla smisurata lista di film che parlano di quei figli (sempre rigorosamente maschi) che non vogliono crescere, né lasciare la casa dei genitori e tantomeno prendersi delle responsabilità; lo stesso “cavallo nero” del titolo non è altro che l’occasione giusta che il protagonista aspetta per “scommettere su sé stesso”, insomma siamo all’ennesima variante sul tema della sindrome di Peter Pan, che per chi fa cinema è diventata come il “giro di Do” per chi fa musica: semplice, efficace, di sicura presa ma che lascia sempre l’impressione del già sentito.

 

Come spesso accede nei film di Solondz la cosa che appare funzionare meglio è senza dubbio il cast, certo la sostanziale linearità ed evidenza dei personaggi che il regista si diverte a creare facilita molto il lavoro dell’attore, ma tutti hanno una fisicità ed una gamma espressiva particolarmente adatta al loro ruolo, a partire dal protagonista Jordan Gelber, un’autentica rivelazione ed un talento comico che sarebbe sicuramente piaciuto al primo John Landis. A questo proposito, però, c’è una cosa che non può essere assolutamente perdonata: costringere il grande Christopher Walken a girare con un orribile parrucchino sulla fronte, quasi che la sua impagabile maschera avesse necessità di questi mezzucci per essere credibile in un ruolo comico. Un po’ di rispetto, Mr. Solondz.

 

                              

Dark Horse
cast cast & credits
 





 
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