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Mutatis mutandis

di Luigi Nepi
  A Dangerous Method
Data di pubblicazione su web 01/09/2011  

 

Era il 2005 quando usciva History of Violence, il primo film di Cronenberg con Viggo Mortensen protagonista e furono in molti a chiedersi che fine avesse fatto il regista di Crash, Il pasto nudo, Videodrome, dato che il film appariva straordinariamente ordinario, sia nell’impianto narrativo che in quello compositivo; due anni dopo è la volta di Eastern Promises e la storia sembra ripetersi: di nuovo Mortensen protagonista e di nuovo un bel film d’azione, che, apparentemente, non sembra avere molto a che fare con l’orizzonte estetico del regista canadese. Passano altri quattro anni e dopo aver visto A Dangerous Method, presentato in concorso alla 68ª Mostra del Cinema di Venezia, il sospetto che il cinema di Cronenberg stia effettivamente “mutando” diventa quasi una certezza: il film racconta del rapporto (fisico ed intellettuale) tra Jung (Michael Fassbender), Freud (ancora Mortensen) e Sabina Spielrein (Keira Knightley), è tratto da The Talking Cure, una pièce teatrale di Christopher Hampton sceneggiata dallo stesso Hampton, e mantiene un impianto rigorosamente classico, senza che niente lasci sospettare la mano del regista di Toronto; anche le rare scene di nudo sono estremamente pudiche ed evidentemente autocensurate.

 


 

La storia inizia con l’arrivo della Spielrein all’ospedale psichiatrico di Zurigo, come malata mentale. Viene presa in cura da Jung, che ne riconosce le qualità e ne asseconda le aspirazioni permettendole di fargli da assistente e di iscriversi alla facoltà di medicina. Nel frattempo Jung conosce Freud, il quale vede nel più giovane medico svizzero il suo probabile erede. Allo stesso ospedale arriva, sempre come paziente (mandato da Freud) il collega psicologo Otto Grass (il Vincent Cassel di sempre): tossicomane, sesso-dipendente e poligamo, si diverte a ribaltare il ruolo tra paziente e psicologo facendo vacillare le convinzioni dell’integerrimo Jung, scoprendo che dietro alla sua apparente correttezza di marito fedele si nasconde un uomo sostanzialmente represso. Jung da sfogo alle sue frustrazioni iniziando una relazione sadomasochista con la Spielrein. La fine di questa relazione farà precipitare la situazione e lo porterà alla definitiva rottura con Freud.

 

Cronenberg, come un pittore d’avanguardia che improvvisamente torna a dipingere paesaggi, costruisce A Dangerous Method rispettando i più elementari dettami del cinema classico, partendo dalla figura forse più caratteristica ovvero il campo e controcampo con cui vengono filmati i molti dialoghi, all’interno dei quali i contrasti tra i personaggi sono scolasticamente risolti. Solo l’attenzione quasi feticistica alla “fase orale” degli attori rende minimamente palpabile la regia di Cronenberg: Mortensen tiene costantemente in bocca un grosso (e fallico) sigaro, Fassbender, quando non fuma la pipa, mangia o beve in continuazione, mentre la Knightley si dimostra preda delle sue convulsioni spostando in avanti la mascella in un ghigno mostruosamente alieno.

 


 

Cronenberg è sempre stato affascinato dalla psiche umana, dalle sue infinite possibilità e dalle sue indefinite perversioni, una fascinazione che ha sempre costituito la base del suo cinema esplicitamente contaminato; con A Dangerous Method compie un percorso a ritroso andando alle origini del pensiero che ha generato questa fascinazione ed alle origini dell’idea stessa di cinema narrativo, ma, a ben guardare, la componente “mutante” c’è ancora, basta volerla cogliere. Sposta la mutazione e la contaminazione ad un livello diverso da quello che contraddistingueva le opere precedenti al suo sodalizio con Mortensen. Se prima il mutante era chiaro, esibito ed affiorava sulla pelle dei protagonisti andando a colpire senza esitazione l’occhio dello spettatore, adesso le mutazioni si fanno meno esplicite, più sottili, quasi nascoste sotto un tessuto filmico classicamente tranquillizzante, un tessuto che lo spettatore deve alzare per continuare a godere dell’intelligente crudeltà di Cronenberg. Guardando il film attraverso quest’ottica ecco che lo stesso Mortensen rappresenta la prima importante mutazione, in quanto non tenta di imitare o di somigliare a Freud, ma resta Viggo Mortensen, con i suoi tratti somatici ed i suoi vezzi attoriali estremamente lontani dall’icona conosciuta del padre della psicoanalisi; così l’estrema somiglianza tra Mortersen e Fassbender non fa altro che stabilire fisicamente il rapporto di discendenza diretta del pensiero di Jung da quello di Freud; e ancora l’eterea e prolifica moglie di Jung (un’ottima Sarah Gadon) viene fatta letteralmente sparire da intere parti del film, salvo ricomparire per incarnare, con il suo pallore e le sue parole dirette, i sensi di colpa che devastano il marito. La stessa nevrosi contagia i personaggi passando come un virus da uno all’altro, partendo dai mostruosi ghigni iniziali della Spielrein fino alla finale inespressiva fissità con cui Jung guarda il lago di fronte a casa sua.

 

Se in History of Violence e Eastern Promises la mutazione arrivava dal mistero che avvolgeva il passato del protagonista, in A Dangerous Method la mutazione colpisce direttamente le menti mutanti di personaggi che rappresentano uno dei pilastri del pensiero del XX secolo all’interno di un cinema che, a causa del suo continuo cambiamento, appare subdolamente normalizzato.

 

 

A Dangerous Method
cast cast & credits
 


La locandina del film




 
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