drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Angoscia e sorriso

di Paolo Patrizi
  L’affare Makropulos (Foto di Walter Mair)
Data di pubblicazione su web 29/08/2011  

Accade, nell’odierno teatro d’opera, di assistere a regie magari illuminanti, ma dove la sagacia con cui vengono sviscerati certi nodi drammaturgici non tiene conto dell’ineludibile griglia preliminare che sono le ragioni della musica. Può però accadere, in casi rari e fortunati, che il regista sia un grandissimo animale da teatro e, al contempo, un musicista consapevole: è ciò che si è potuto vedere a Salisburgo, dove Christoph Marthaler – innovatore del palcoscenico tra i più discussi dell’ultimo ventennio, ma anche compositore militante – si è spinto a far precedere la messinscena dell’Affare Makropulos da un prologo dialogato, estraneo a libretto e partitura, che getta i semi per una vera e propria drammaturgia alternativa, ma tutt’altro che dissonante, senza minimamente compromettere l’equilibrio della musica.


Una scena dello spettacolo (Foto di Walter Mair)

 

Tornando a un lavoro di Janáček tredici anni dopo quella Katia Kabanova che, andata in scena sempre al festival salisburghese, aveva rappresentato l’esito più felice di Marthaler in campo operistico (ne esiste il dvd), il regista amplia il testo in modo tutt’altro che intrusivo: il dialogo iniziale scorre sul display che servirà poi per i sopratitoli, ma le due figuranti – due personaggi aggiunti al libretto – si limitano ai gesti, senza che alcun suono esca dalla loro bocca. Ne scaturisce una dialettica tra verbalità e mutismo che non è solo altissimo teatro visivo e sottile anticipazione delle antinomie che costelleranno la vicenda (scorrere della Storia e tempo che si ferma, immortalità del canto e caducità dei suoi divi, sessualità vorace e anaffettività…): è pure un espediente per mettere subito in movimento l’occhio e la mente dello spettatore, riservando però la concentrazione dell’orecchio alla musica che sta per iniziare.


A cosa serve tale prologo? A far sì che quanto della pièce di Karel Čapek era uscito dalla porta della riduzione librettistica rientri dalla finestra di questa messinscena. Sensibilissimo ritrattista femminile, Janáček vide nell’Affare Makropulos l’occasione per delineare una grande figura di primadonna che, con i suoi miracolosi trecentotrentasette anni sotto l’aspetto di magnifica quarantenne, consentiva d’unire in un sol colpo quei quadri muliebri plurigenerazionali (suocera e nuora nella Kabanova, nonna-madre-figlia in Jenufa) che affascinavano il compositore ceco: il tema del disagio sociale conseguente a uno straordinario allungamento della vita, nevralgico in Čapek, gli interessava assai meno. Marthaler e il suo Dramaturg Malte Ubenauf recuperano invece molte battute della commedia illuminanti in tal senso, mostrando nel prologo due diverse stagioni dell’esistenza, con una giovane e una vecchia – prestano loro plasticità e volto l’attrice Sasha Rau e la danzatrice Silvia Fenz – che s’interrogano sui danni di un’ipotetica vita illimitata. Ed è l’avvio d’una vera e propria “altra storia”, ambientata in una casa di riposo, dove infermiera e degente sono testimoni del dramma principale.

 


Un'altra scena dello spettacolo (Foto di Walter Mair)

 

Il “campo lungo” della scenografia di Anna Viebrock, infatti, seziona lo spazio in una sorta di scatola scenica una e trina, delimitata a sinistra da un ambiente sottovetro, chiamato a evocare l’asepsi dell’ospizio, e a destra da una stanza di piante sempreverdi, allusione alla natura evergreen della protagonista. Al centro, al posto dell’ambientazione di volta in volta prevista dal libretto, un’aula di tribunale: memento della causa giudiziaria – «l’affare Makropulos», appunto – che si trascina da generazioni, nonché surrogato per sintetizzare lo studio legale del primo quadro, il backstage del Teatro dell’Opera del secondo (cos’è un tribunale se non un grande teatro?) e l’alcova clandestina del terzo (in ogni processo il voyeurismo incalza). Ne sortisce un grottesco ora frenetico – la maliarda pluricentenaria e il barone infoiato emergono seminudi dai banchi dell’aula giudiziaria – ora doloroso: anche se l’angoscia si stempera in sorriso nell’immagine finale, quando la vecchietta ricoverata, data per morta, riappare all’improvviso, proprio mentre la diva si congeda dalla scena e dalla vita rinunciando a giovinezza e immortalità.


Tra i grandi direttori di oggi, Esa-Pekka Salonen è forse quello che con la musica di Janáček ha il rapporto più empatico e proficuo. Il suo gusto per l’analisi dei dettagli, la scomposizione della forma, l’asciugamento delle grandi campate per giungere all’essenza della musica – insomma la sensibilità più per la funzione “logica” che per la funzione “retorica” degli elementi di una partitura – in altre occasioni ha limitato la sua bacchetta sotto il profilo dell’abbandono al canto; tuttavia, il maestro finlandese non dimentica che nel Makropulos la protagonista è un soprano – o, meglio, ha attraversato vari secoli incarnandosi in più soprani – e la vocalità non è un elemento periferico, ma la raison d’ętre della sua spinta verso l’eternità. Il risultato è una felice sintesi tra il talento anatomizzatore d’un direttore di tecnicismo altissimo e una caleidoscopicità dell’arco canoro insospettabile in un’opera dove le effusioni liriche sono, effettivamente, ben poche: un esito, peraltro, che non sarebbe stato possibile senza un cast adeguato.

 


Un'altra scena dello spettacolo (Foto di Walter Mair)

 

Sotto questo profilo, se L’affare Makropulos ha bisogno innanzi tutto d’una protagonista carismatica va pure detto che, sull’altare di tale carisma, si è spesso sacrificata la qualità del canto: più volte il ruolo di Emilia Marty, alias Elina Makropulos, è stato appannaggio di primedonne sul viale del tramonto, talentosissime ma esizialmente appannate per incarnare una figura di soprano leggendario. Angela Denoke sarà meno carismatica di altre colleghe: però la voce è sana, duttile, non troppo ricca di colori ma debitamente contrastata; e sotto il profilo scenico – proprio come l’eroina di Janáček, trecentotrentasettenne per età biologica, tutt’altro che per aspetto – ha la carnalità della donna matura ma ancor giovane, senza bisogno di affettazioni. A sua volta Johan Reuter, nella parte del barone, dimostra come, anche in una scrittura lontana dal tradizionale canto spiegato, una densa e flessibile voce di classico baritono possa farsi valere. Più a disagio il Gregor di Raymond Very, cui spetta la vocalità meno sperimentale (il tipico tenore “spinto” di tanti melodrammi d’area verista), ma l’affronta con disagio quanto a intonazione e fermezza di suono.

 


Un'altra scena dello spettacolo (Foto di Walter Mair)

 

Fanno meglio gli altri tenori, chiamati a un impegno minore ma non trascurabile: Aleš Briscein, con la sua voce lirica e delicata, offre un bel ritratto canoro della fragilità di Janek, destinato a soccombere davanti al vitalismo del padre; mentre Peter Hoare si rifugia nel piccolo personaggio di Vitek, ma il suo soliloquio nel primo atto mette in luce una voce interessante, che si potrebbe impiegare in ruoli di maggior spessore. Tutto il contrario del veterano Ryland Davies, che ai suoi bei dì, quando affrontava protagonisti mozartiani e donizettiani, convinceva solo in parte, ma da anni si è trasformato in caratterista di razza: il suo Hauk-Šendorf, decrepito ma non immemore dei brividi della carne, aggira il rischio della caricatura e porta un brivido di dignità e sofferenza, ricordandoci come anche la parte conclusiva della parabola di Janáček ondeggiò tra senilità e richiamo dei sensi. Più macchiettistici, ma di gran talento, il debordante mezzosoprano Linda Ormiston (che la riscrittura di Marthaler e Ubenauf chiama ad assemblare più ruoli ancillari previsti dal libretto) e il baritono Jochen Schmeckenbecher: un principe del foro nevrotico e divorato dai tic.



L’affare Makropulos



cast cast & credits



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013