Un Rossini un po “händeliano”, al Festival della Valle dItria 2011, come se un ponte ideale fosse stato gettato dal direttore artistico Alberto Triola fra lultima opera in cartellone lo scorso anno e la prima della nuova edizione. In primis, per il recupero filologico della voce per castrato, allepoca interpretato dal famoso Velluti, per questa opera dapertura Aureliano in Palmira di Felice Romani e Gioacchino Rossini: si intende, con la presenza succedanea (per la prima volta in tempi moderni) ed entusiasmante di un contraltista come largentino Franco Fagioli, da poco premiato dallAbbiati proprio per la notevole prestazione nella Rodelinda, regina de longobardi di Händel - ecco di nuovo il genio di Halle - a Martina Franca lanno scorso.
Ulteriore rimando alla recente prassi esecutiva dei melodrammi händeliani si ritrova qui nella messa in scena del giovane regista anglosassone Timothy Nelson il quale, mutuando lidea da non poche produzioni recenti di opere del compositore tedesco (vedi ad es. Giulio Cesare in Egitto a Glyndebourne, 2005), trasferisce il plot dallantico medioriente romano alla Siria dei primi del Novecento: tanto, sempre di imperialismo si tratta, non più di Aureliano verso i popoli di Palmira e Persia ma di inglesi e francesi contro gli arabi di re Faysal I. Da qui, lutilizzo di costumi moderni (curati da Michelle Cantwell): soldati in kilt e con mitra in mano, limperatore in giacca e cravatta, ma anche fez e turbanti islameggianti.
Una scena
“La coscienza del potere” è il tema del Festival 2011 e la relativa questione etica Aureliano se la pone solo alla fine dellopera, quando lascia liberi di amarsi Zenobia, regina di Palmira, e Arsace, principe di Persia, ma non affrancati i loro popoli, ormai sotto il giogo romano. Sebbene limperatore mostri, per due atti e quasi tre ore di musica, intenzioni più che seduttive verso la bella regina, landamento narrativo non lascia mai dubbi sulla conclusione e questo “appesantisce” il palco, complice anche la staticità nella quale Nelson pone gli elementi del coro, peraltro collocato dal compositore in posizione assolutamente centrale, sia dal punto di vista drammaturgico che, ancor più, musicale.
Bella, davvero, la musica che il giovane Rossini ha imbastito per Aureliano in Palmira: piatto forte della serata, al festival, con la sorpresa iniziale di ritrovarsi tutti ad ascoltare (alcuni anche a canticchiare!) louverture che poi sarà ricollocata nel Barbiere di Siviglia, il Coro Slovacco di Bratislava, ben preparato da Pavol Procházka (una presenza storica a Martina Franca), a deliziare per tutta la durata dello spettacolo, come dicevo.
Siamo nel 1813, Rossini è un giovane ma già notissimo maestro, che presta altissima nota alle voci e al belcanto ma nella sua partitura, oltre a superare le rigide divisioni fra opera buffa e seria - Aureliano si colloca, anche musicalmente, tra le buffe LItaliana in Algeri e Il Turco in Italia e segue la seria Tancredi - già si prefigurano elementi che saranno propri del nuovo secolo musicale, con Donizetti e Verdi che incombono con nuove soluzioni armoniche e melodiche.
Una scena
In questo non facile coacervo tra vecchio e nuovo, il direttore Giacomo Sagripanti ha saputo dirigere con attenzione lOrchestra Internazionale dItalia, dove si sono fatti notare anche alcuni solisti, in particolare Marius Sima al violino e Luca Stocco alloboe, nonché Daniela Pellegrino al bel fortepiano depoca, appartenente a una notevole collezione privata pugliese.
Punto delicato, vista la nota attenzione di Rossini al canto, le voci hanno saputo adempiere con efficacia al loro compito, in particolare i tre protagonisti: il soprano venezuelano Maria Aleida (Zenobia), molto brava dopo alcune incertezze iniziali, il giovane tenore Bogdan Mihai, dal bel timbro chiaro e forte (Aureliano) e il già citato contraltista Franco Fagioli, ormai una sicurezza per questi ruoli “difficili”. Bravi anche gli altri: Asude Karayavuz (Publia), Mert Süngu (Oraspe), Masashi Mori (Licinio), Luca Tittoto (gran sacerdote).
Fra le belle scene di rovine di Palmira (riprodotte pari pari dal sito archeologico e realizzate da Tiziano Santi), oltre ad aggirarsi ironicamente dei (finti) turisti in pantaloncini e macchine fotografiche nel tempo che precedeva linizio dello spettacolo, si muoveva una figura fantasmatica, elegante, muta, spesso dolente, forse una possibile chiave interpretativa della vicenda: la bravissima ballerina e didatta Louise Frank, alias Zenobia da vecchia, che sembrava come rivivere in età matura, ma con tuttaltro spirito, le emozioni e i sentimenti che quellavventura le aveva fornito molti anni prima.
Conclusione dopera affidata alla veloce aria finale Copra un eterno oblio e, a chiarire lintento registico, a proiezioni di immagini di contestazioni e manifestazioni in area mediorientale, con tanto di bandiere siriane e striscioni di protesta. Mutatis mutandis.
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