Sono due stupende realtà di danza il Balletto della
Staatsoper di Vienna e il Corella Ballet, due organici così lontani per genesi
e struttura eppure così vicini per spirito e qualità. Uno spirito e una qualità
che hanno nei rispettivi direttori, Manuel
Legris e Ángel Corella, il trait dunion per il modo di concepire la
direzione artistica basata sullestrema preparazione e professionalità dei
singoli elementi e dellintera compagine.
Il Balletto della Staatsoper di Vienna, come altre
prestigiose Compagnie di Ballo europee, ha “la casa madre” in un Teatro dOpera
e si colloca nel novero di quei soggetti depositari di una grande tradizione
teatrale e di un consolidato repertorio accademico aperto alle innovazioni
coreografiche odierne.
Dallaltra il Corella Ballet, che ha sede a La Granja
de San Ildefonso in provincia di Segovia, è lincarnazione della volontà di un
artista che gioca il tutto per tutto per realizzare un sogno. Fondare una
compagnia di balletto classico nella patria del flamenco, autonoma dai Teatri
dOpera e sostenuta da finanziamenti privati, che – come dice lo stesso Ángel –
«rispecchi nelle scelte il nuovo volto del balletto di oggi. Un balletto in cui
il classico si contamina con la vita, cambia di segno e di forma, ma resta
sempre la vetta della danza».
Due progettualità coreutiche e coreografiche che
idealmente sincontrano nei principi che guidano i rispettivi direttori e
portano alto il vessillo di due “filosofie” gestionali che proseguono, il Wiener Staatsballet la strada indicata da
secoli dal Ballet de lOpéra de Paris, fondato da Luigi XIV nel 1661, il
Corella Ballet la via rivoluzionaria e privatistica iniziata dai Balletti Russi
di Diaghilev nel 1909.
Unoccasione doro dunque assistere, a distanza di
pochi giorni, a due applauditissimi appuntamenti con il Balletto dellOpera di
Vienna impegnato al Ravenna Festival in un Gala sui generis al Palazzo Mauro De André, e il Corella Ballet al 54° Festival dei Due Mondi di Spoleto in una “serata dautore”
nella vetusta cornice del Teatro Romano.
Diretto da Manuel Legris, létoile dellOpéra di Parigi che nel 2009 ha dato laddio alle scene
e nel settembre 2010 è diventato “Ballettdirektor” del Wiener Staatsballet, il corpo di ballo austriaco
scende in campo a Ravenna con i suoi migliori elementi in un programma che
riflette le linee guida di Legris tese a ridare lustro alla formazione tersicorea
viennese, riposizionandola tra le “grandi consorelle” internazionali, e mettere
alla prova il suo “management”.
Ricco e articolato, il palinsesto di questo Gala è
allinsegna del classicismo per la presenza di alcuni “pezzi forti” del
repertorio otto-novencentesco e di creazioni di “volti” emergenti della
coreografia contemporanea, che esaltano la levatura del corpo di ballo a
cominciare dallo stesso Legris nel passo a due da Manon di MacMillan, su musica di Massenet, con Nina Polákova e nel solo The
Picture of… dellafro-tedesco Patrick De Bana su musica di Purcell.
Due momenti in cui lartista francese appare in tutta
la sua caratura di danseur noble nei
panni del Cavaliere des Grieux accanto ad
una dolcissima Nina-Manon, e di interprete sopraffino nel “monologo interiore”
di De Bana. Un solo di rara raffinatezza per la gestualità musicale e la
coscienza del dettaglio di un passo, di un legato, di una figura, che esprimono
la poesia del movimento di stampo accademico.
E sempre per dare spazio a nuovi autori anche laltro
solo, Mopey del tedesco Marco Goecke sul Concerto per violoncello e archi di Carl Philipp Emanuel Bach, resta
impresso per la fluidità dei passaggi contemporanei, intrisi di petits battements e pirouettes
in attitude, che coniugano atletismo e velocità grazie a Masayu Kimoto. Un ballerino che cattura
gli sguardi sviluppando per la maggior parte di schiena e di taglio il
fraseggio coreografico.
Ancora allinsegna delle tendenze coreutiche contemporanee
è il pregevole Canon in d major, un trio
firmato da Jiří Bubeníček su musica di Johann Pachelbel in cui Denis Cherevychko, Roman Lazik e Mihail
Sosnovschi tessono una tela di morbidi e virili intrecci ripetendo a canone
le sequenze, intervallate da singole performance, in un lavoro di indubbio
tratto “autoriale”.
Vero e proprio tributo di Legris alla danse décole è il suo Donizetti pas de deux con la brillante Kiyoka Hashimoto affiancata dalla
giovanissima promessa italiana, Davide
Dato. Un ventenne dotato di sorprendente ballon che insieme a Kiyoka anima una creazione fresca, leggera che
alleggerisce con brio il “peso” della tradizione e diverte.
Sempre in onore della più blasonata scuola accademica
non poteva mancare il Cigno Nero dal pas
de trois de Il lago dei cigni di
Čajkovskij-Petipa, con una forte e sicura Liudmila
Konovalova, attorniata dal principe Alexandru
Tcacenko e da un affascinate Mihail Sosnovschi, nelle vesti di
Rothbart. In tutù nero impreziosito da
brillanti e un diamante rosso sul petto come nella versione del Lago firmata da Nureyev per lOpera di
Vienna, Liudmilla volteggia e “sfida” il Cigno Bianco del successivo pas de deux coreografato da Nureyev e interpretato
da Nina Polákova e Roman Lazik. Un passo
a due inserito per ribadire il forte legame che il grande danzatore russo ha
avuto con Legris allOpéra di Parigi e con lOpera di Vienna.
Ma in questa “carrellata” di capolavori non poteva
mancare George Balanchine presente con Tarantella
pas de deux su musica di
Louis Moreau Gottschalk e Čajkovskij
pas de deux danzati da Maria Yakovleva e Denis Cherevychko in
un fuoco di fila di virtuosismi ideati dal padre del neoclassicismo in danza.
Neoclassicismo di cui Legris mostra gli esiti estremi proponendo The Vertiginous Thrill Of
Exactitude di William Forsythe su musica di Franz Schubert. Una travolgente
coreografia postneoclassica “tinteggiata” dal rosso dei costumi maschili e dal
verde dei celeberrimi tutù a corolla che scatena Franziska Wallner Hollinek, Kiyoka Hashimoto, Liudmila Konovalova,
Masayu Kimoto, Davide Dato, in un agone fisico e tecnico allultimo respiro.
E allultimo respiro ma questa volta per lintensità della passione amorosa sono il
passo a due da Anna Karenina di Boris
Eifman su pagine di Čajkovskij e quello di Roland Petit da Il Pipistrello di Johann Strauss figlio con la coppia Olga Esina e Kirill Kourlaev. Due protagonisti che bene sottolineano le
differenze di stile del primo duetto, intenso, tragico, involuto, e del secondo
tutto giocato sul lirismo e la purezza delle linee che inneggiano alla bellezza
e bravura dei protagonisti.
Bravura e bellezza che tornano prepotentemente a
spopolare anche nello spettacolo del Corella Ballet guidato da Ángel con la
collaborazione della sorella Carmen,
entrambi ancora in forza allAmerican Ballet Theatre lui come Principal, lei
come Solista.
Chiamato da Alessandra Ferri, curatrice della sezione
danza del Festival dei Due Mondi di Spoleto e premiata con il Premio Air France
“Cultura oltre i Confini”, il Corella Ballet debutta in Italia con un organico
formato da una trentina di ottimi elementi provenienti da tutto il mondo e
quattro coreografie “doc”.
Si comincia con Bruch
Violin Concerto N.1 di Clark Tippet, rimontato da David Richardson, che su musica di Max Bruch presenta in una serie
di gradevoli quadri neoclassici il gruppo “spagnolo” elegantemente vestito da Dain Marcus e illuminato da Jennifer Tipton.
In Clear di
Stanton Welch, ripreso da Steven Woodgate su musica di Bach, un sestetto maschile
vestito da Michael Kors per Céline e
ravvivato dallaggraziata presenza di un elemento femminile, è protagonista di
una coreografia piena di forza ed energia in un continuum di legati postclassici che attraversano il palcoscenico
orizzontalmente e diagonalmente, assecondando con la geometricità delle
sequenze la partitura bachiana.
Meraviglia delle meraviglie è Soleá, una creazione di Maria
Pagés su musica di Rubén Lebaniegos, canto Ana Ramón, chitarra Rubén
Lebaniegos, percussioni Chema, Uriate e zapateado
della stessa Pagés, che vede danzare sotto le luci chiaroscurali di Luis Perdiguero lo strepitoso Ángel Corella e laffascinate Carmen in un
duetto mozzafiato. Duetto che stravolge classicamente il flamenco per dare vita
a qualcosa di ibrido quando Ángel esegue elettrizzanti manèges e pirouettes à la
seconde sulla melodia flamenca e Carmen
risponde con lo “zapateado” sulle punte in unideale sfida tra due codici
espressivi diversi. Infine insieme si lasciano trasportare dallerotismo degli esasperati cambrés
gitani accentuati dalle emblematiche pose della testa, delle braccia e
delle gambe che si accavallano, si piagano e tornano in posizione eretta.
Dulcis in fundo
è DGV: Danse à grand vitesse, unintrigante
coreografia di Christopher Wheeldon, rimontata da Jason Fowler su musica di Michael Nyman ed eseguita per gentile
concessione del Royal Ballet con costumi colorati e scene di Jean-Marc Puissant. Intriso di linguaggio
postclassico il pezzo scorre velocissimo sulle luci di Jennifer Tipton chiamando
alla ribalta il Corella Ballet che si mostra capace di sostenere una creazione nata
per il blasonato Royal Ballet e di reggere il temibile confronto. Un confronto
da cui esce vincente confermandosi un complesso eccellente di cui Corella può
andare orgoglioso in attesa di fondare una Scuola Internazionale di Balletto
fra le più grandi dEuropa, che assicurerà unalta formazione accademica alle
nuove leve della danza.
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