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Babilonia - Il terzo paradiso

di Fabiana Campanella
  Una scena della performance
Data di pubblicazione su web 20/06/2011  
Un regista e coreografo, Ismael Ivo, di origini afrobrasiliane e di stanza a Berlino, 56 anni, dal 2005 alla guida del Settore Danza della Biennale di Venezia, pluripremiato danzatore, conosciuto in tutto il globo per i suoi lavori su Mapplethorpe e Francis Bacon.

 

Terzo lavoro della trilogia di Ivo, prodotta dalla Biennale di Venezia, dal 2009 con gli allievi dell’Arsenale della Danza (prima 17, poi 20, ora 25), dedicata al disfacimento della natura e dell’umanità, con allusione salvifica sin dal titolo.

 


 

Prima tournée programmata per un progetto formativo della Biennale, con otto date in Veneto (comprese le due del debutto veneziano) e tre in Brasile, fino al 2 giugno a São Paulo, e il 4 a Santos, la città di Pelé e dei Mondiali 2014.

 

Otto eventi all’attivo con straordinario successo di pubblico sin da gennaio, per la volatile compagnia dell’Arsenale della Danza, dagli Open doors, a chiusura di ogni ciclo di Masterclass, alle performance per il Carnevale dei Ragazzi, negli spazi dei Giardini che ora ospitano i tre Tintoretto voluti da Beatrice Curiger, agli outdoors di Moving the city, azioni coreografiche a sorpresa alle fermate dei vaporetti su Canal Grande.

 


 

Tutte promesse d’amor perduto. Gli 80 minuti di spettacolo si affollano di quadri in successione di crisalidi che un video – non visto al debutto per problemi tecnici – avrebbe voluto trasformare in farfalle. Ma nessuno spicca il volo, nonostante l’eccezionale bravura dei danzatori, contratti in una coreografia poco coraggiosa.

 

Nel palcoscenico di bianco “ILLUMInato” come tutta la Biennale 2011, e increspato sulle tre pareti in uno splendido gioco sottile di ombre, si intravedono all’inizio le 25 figure di spalle curve, raccolte come larve in un’atmosfera rarefatta di luci fumose e suoni elettronici.

 


 

Il biondo e alto Patrick Cubbedge si staglia al centro con incredibile estensione delle braccia, dopo aver diradato il gruppo in un movimento che vedremo ripetersi, simile a un respiro. I venticinque corpi di bianco pudicamente fasciati, come dalle bende di Daniele Da Volterra nella Cappella Sistina, si addensano e si disperdono morbidamente in gruppi di due o tre, oppure isolando un danzatore, che riproporrà il suo tratto caratterizzante, pronto a replicarlo anche nelle composizioni collettive. Come se la sintesi di Ivo non raccogliesse il meglio del lavoro creativo dei suoi ballerini, ma solo i segni più evidenti e immediati; come se ne avesse cristallizzato un gesto per ognuno, spogliandoli della ricchezza con cui sono arrivati e di quella che hanno costruito negli ultimi mesi.

 

Chi cade e si rialza, chi vola in spaccata, chi dilata le braccia come a chiudere il boccascena, chi gioca con le traiettorie parallele delle mani: tutti esprimono comunque l’energia di quella speranza cui Ivo accenna nelle note di regia: «L’arte della danza serve per ricordarci che mancano totalmente alcuni valori naturali a cui non siamo più abituati, come la condivisione, l’amicizia e la familiarità. L’essere umano, nonostante i progressi tecnologici, rischia di dover affrontare il pericolo di uno stato vicino all’estinzione. […] L’esistenza può dipendere da un gioco di luci. La speranza è viva».

 


 

Impeccabili, con l’entusiasmo e i sorrisi dei loro 20 anni, i ragazzi hanno accolto le scelte del maestro, e regalano momenti di estrema potenza e leggerezza, come il pas de deux tra un lui nero e una lei bianca, e la lotta di capoeira, con i contendenti ai quattro angoli e soave fanciulla al centro.

 

Si distinguono, nelle grandi scene corali, piccole coreografie di suggestione classica perfettamente eseguite, dove un gomito o un piede sguisciano sempre nella contemporaneità.

 

È il tratto narrativo e palingenetico di questa Babilonia che banalizza e smorza: una Biancaneve con capelli rossi e mele verdi, Valentina D’Apuzzo, l’unica vestita di colore, duetta con lo specchio sotto le struggenti note di un Sacrificium barocco cantato da Cecilia Bartoli; una vestale greca, Ariadne Mikou, avvolta di stole, inizia un «C’era una volta» che sentiremo in altre lingue sovrapposte, prevedibilmente, in una dolcissima Babele.

 


 

Se il giustapporsi di più piani d’azione in profondità amplifica il disegno coreografico, l’intervento di ballerini avvolti nello scotch, di un anti-centauro con testa di cavallo bianco e di altri personaggi che calzano abbacinanti coturni, distoglie l’attenzione, alla ricerca di un significato ben nascosto.

 

Col cavallo misterioso, caro a Ivo, arrivano clangori di eserciti in movimento, le prime luci rosse, un appassionante passo a due che non trascina nella sua estenuante lentezza, il temporale, tre enormi tavoli da ping pong su cui imbastire una gara di forza e bellezza - per soli uomini - chiusa in un fermo immagine di posa sul tavolo, come in una pubblicità di moda.

 

L’idea suggestiva dello stop motion tornerà nel finale, per un’ultima cena di 25 apostoli di più sessi e colori di pelle, tutti attorno al lungo tavolo, svolazzanti di camicie bianche come nell’agognato Terzo paradiso.

 

Poi si torna nella realtà; dispersi per il mondo, i ragazzi si “taggano” su Facebook in pose funky improvvisate tra le quinte, o attorcigliati a un baobab sulla spiaggia della tournée, e nessuno ha ancora capito quali siano il primo e il secondo paradiso.

 

 

 

 

Prossimo e ultimo appuntamento per l’Arsenale della Danza 2011:

venerdì 24 e sabato 25 giugno (Teatro Piccolo Arsenale, ore 20)

Emanuel Gat Dance

Brilliant Corners

Con la compagnia nata nell’ambito del progetto Enparts – European Network of Performing Arts - il coreografo israeliano presenta il suo nuovo lavoro ispirato all'album di Thelonious Monk del 1957.

 

On line il bando per il campus dell’Arsenale della Danza 2012

http://www.labiennale.org/it/danza/arsenale/audizioni.html

 

 

Babilonia - Il terzo paradiso
cast cast & credits
 



 
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