drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

L’(im)possibile aura

di Elisa Uffreduzzi
  (Im)possible
Data di pubblicazione su web 10/06/2011  

«Mi sono serviti quattro anni per imparare a disegnare come Raffaello, ma una vita intera per disegnare come un bambino». Queste parole di Pablo Picasso si adattano magnificamente alla struttura e insieme al tipo di lettura che uno spettacolo come (Im)possible richiede. Come dire che, per leggere una trama così densa di forme e contenuti, allo spettatore si richiede il sacrificio di tutto quanto ha in memoria in fatto di danza narrativamente e concettualmente preordinata.

Nella scarna e incisiva cornice visiva della stazione Leopolda di Firenze, entra a far parte del carnet di Fabbrica Europa 2011 la creazione della norvegese Ina Christel Johannesen, eseguita in prima nazionale dalla compagnia Zero Visibility Corp, da lei fondata nel 1996. Un’artista che ha un peculiare stile coreografico basato sull’impiego di materiali e pensieri variamenti assemblati dai danzatori direttamente sulla scena.




Quello che ci troviamo davanti è in effetti una sorta di “ipertesto”, caoticamente allestito su di una pedana rettangolare, nera: uno spazio concluso e stilizzato, in cui si individuano pochi elementi scenografici fissi, accanto e sui quali, oggetti di varia natura vengono “performati” dagli interpreti. L’angolo in fondo a destra della pedana/palco è “tagliato” di sbieco da un pannello calato dal soffitto, una sorta di ampia tenda rossa intessuta di petali sintetici. Poco più avanti, nella stessa direzione, una serie di lampade sospese emana una luce fioca ora fissa, ora intermittente, ora inesistente. Il lato corto a sinistra del palco è invece sottolineato da una banda rettangolare sostenuta anch’essa dall’alto e costituita da pannelli metallici che riflettono la poca luce in scena, modulandola in suggestivi effetti luministici. Della cenere plumbea è ammucchiata ai piedi della tenda, mentre due vecchie sedie e qualche scatolone affastellato sul fondale nero completano la cornice scenografica minimale, eppure ricca di elementi, all'interno della quale agiscono in poveri costumi “quotidiani” Line Tørmoen, Dimitri Jourde, Sudesh Adhana, Kristina Søetorp, Cecilie Linderman Steen. Questi i cinque elementi che compongono la compagnia e su cui spiccano l’abbigliamento vagamente militaresco di uno di loro e il costume in organza nera e rosa di cui una delle interpreti si spoglia, rimanendo in semplici pantaloni rossi e canotta beige.

Le luci, basse e rade, scolpiscono le figure isolandole in fumosi “occhi di bue”, mai perfettamente a fuoco e si creano così tanti piccoli momenti coreografici in seno al macro-contenitore dello spettacolo che, a loro volta, contribuiscono a definire questo “ipertesto” e danno allo spettatore la piena libertà di scegliere quali figure e movimenti seguire, tra quelli che si svolgono – spesso contemporaneamente – sul palco.

Le musiche di Irisarri, Jacaszek, Ø, Kreng, BJNilsen e Noto, formano un coacervo di suoni in cui l’impulso ritmico è l’elemento fondante sul quale si amalgamano e avvicendano rumore, canto lirico, canti popolari di trazioni etnografiche diverse e stilemi dell’elettronica contemporanea.




Parimenti variegato e finanche disordinato è l’accumulo di diversi stili espressi dai danzatori che, di formazioni e preparazioni atletiche eterogenee, contribuiscono alla resa di (Im)possible. Ai due interpreti maschili, raffinati breaker capaci di un iper-controllo del movimento incanalato nella musica così da creare vere e proprie “onomatopee corporee”, fanno da contraltare tre interpreti femminili che, ciascuna a suo modo, mostrano ora un’evidente preparazione classica, ora una contemporanea e ora una ispirata alla danza jazz.

In questo pot pourri lo spettatore rimane a tratti un po’ disorientato, stordito dalla varietà, dai materiali e dalla molteplicità di azioni coreografiche che si avvicendano e sovrappongono sulla scena. Tuttavia a difesa di questo tipo di linguaggio espressivo è lecito porre le ragioni di una fruibilità che si adegua alla caotica e disordinata cultura contemporanea. Nell’era di Wikipedia, l’arte come la cultura, somigliano a un enorme calderone al quale è legittimo attingere in modo discontinuo e occasionale. Forse è proprio questo l’(im)possibile cui allude il titolo: la ricerca di modi e tempi diversi per un’arte che oggi ha smarrito le coordinate spazio-temporali della sua produzione e ricezione. Una nuova e possibile “aura” che – parafrasando Benjamin – si è persa proprio “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.




(Im)possible
cast cast & credits
 



Ina Christel Johannesen

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013