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Serata sacra

Elisa Uffreduzzi
  Serata sacra
Data di pubblicazione su web 02/05/2011  

Serata sacra è il titolo del pregevole e applaudito trittico proposto da MaggioDanza, la Compagnia di Ballo del Maggio Musicale Fiorentino che ha presentato qualcosa di nuovo e antico allo stesso tempo. Antico per la tematica religiosa affrontata, nuovo per l’approccio alla messinscena e la scelta di affidarsi a una danza pensata da coreografi contemporanei.

La serata al Comunale di Firenze si è aperta con un fuori programma di due primi ballerini del Tokyo Ballet, Naoki Tagagishi e Mizuka Ueno, a testimonianza del profondo cordoglio per il recente terremoto che ha colpito il Giappone e della sentita vicinanza dei colleghi italiani. Un atto di solidarietà non soltanto simbolico che ha visto devolvere l’incasso della prima di Serata Sacra alla ricostruzione di una sala da concerto nella prefettura di Fukushima.

I due danzatori giapponesi hanno interpretato Dichterliebe (L’amore di poeta) di Maurice Béjart, su musiche di Robert Schumann e Nino Rota. Un cammeo che gioca con le attese più pop del pubblico per ironizzare, smontare e ricostruire una sorta di boutade in forma di danza.

All’apertura del sipario la splendida Mizuka in body e gonnellino rosa, come vuole lo stereotipo della ballerina classica, esegue alla sbarra alcuni esercizi di routine; poi entra in scena il clown/ Tagagishi, la musica cambia e qualcosa comincia a stridere con quell’aura di perfezione che aveva caratterizzato l’incipit. Le melodie circensi di Nino Rota subentrano all’armoniosa perfezione di Schumann e parallelamente, a poco a poco, i movimenti sfuggono agli schemi della danse d’école con elementi di rottura improvvisi e sorprendenti. Un flex inaspettato del piede, un gioco esagerato di plié, un click della testa che asseconda il ritmo allegro e sconnesso della partitura. Ma poi tutto sembra rientrare nei ranghi e la Ueno si cimenta in una brillante variazione con tanto di pirouettes, arabesque, grand jetés, seguita da Tagagishi che, tolto sulla scena il costume clownesco, si cimenta  in un a solo sulle note di un Lied shumaniano, indossando calzamaglia nera e maglia bianca. L’abito “da studio” del ballerino, idoneo ad esaltare la perfezione accademica che, soprattutto laddove è sottolineata dalle musiche di Rota, volge all’ironia per ridare senso ad una tradizione ballettistica avvertita come sterile dal grande Béjart.

Conclusosi questo omaggio, l’atmosfera si trasforma e lo spettacolo trae ispirazione dall’iconografia religiosa della Galleria degli Uffizi di Firenze con La pietà del Giottino, musa ispiratrice di Francesco Ventriglia per il suo Stabat Mater, L’Annunciazione di Leonardo da Vinci, modello per Annonciation di Angelin Preljocaj e La caduta degli angeli ribelli di Andrea Commodi, spunto per Selon Dèsir di Andonis Foniadakis, che danno vita ad una riflessione danzata e tripartita sulla fede, il peccato e l’eterna lotta tra Bene e Male.

Sullo sfondo nero del balletto di Ventriglia si stagliano ballerini e ballerine in grigi abiti quotidiani, confusi alla penombra che riempie il palco. Schierati di profilo in linee parallele, riempiono lo spazio scenico e una folla ordinata comincia a muoversi all’unisono sullo Stabat Mater di Pergolesi. A poco a poco si formano coppie che danzano, mentre dal fondale emerge un’imponente croce, quella destinata al martirio di un Cristo michelangiolesco. È Alessandro Riga, che consuma le note dense di pathos del canto gregoriano, attraverso la trama coreografica ordita da Ventriglia, il direttore di MaggioDanza.

Fluidità e controllo del movimento si alternano e in un’oscillare continuo si restituisce fisicamente la tragedia dell’uomo, del Messia e della Mater dolente, circondati da danzatori e danzatrici che “narrano” il dramma in atto relazionandosi con degli inginocchiatoi.

Ma il repertorio degli oggetti di scena non si esaurisce qui e un’asse di legno, sulla quale vengono realmente piantati a vista alcuni chiodi, è metonimia della crocifissione, richiamata dall’idea del dolore fisico, contrapposto a quello spirituale, raccontato da musica e danza, e rappresentata in una sorta di tableau vivant con Riga crocifisso e posto in fondo.

Vero e proprio “dramma coreutico”, lo Stabat Mater di Ventriglia si chiude con l’eloquente immagine della Mater adagiata su una croce formata dagli inginocchiatoi, speculare a quella del figlio, in un racconto per immagini, fortemente evocativo.


 


 

 

Una sorta di intermezzo riflessivo è invece Annonciation di Angelin Preljocaj se si considera il minimalismo della scenografia e l’essenzialità del movimento, di contro all’opulenza visiva di Stabat Mater e Selon Désir che fanno da cornice.

La creazione di Preljocaj traduce visivamente la narrazione evangelica dell’Arcangelo Gabriele che annuncia a Maria il suo destino di madre del figlio di Dio. Sulle note del Magnificat di Vivaldi, contrapposto alle dissonanze di Stéphane Roy, si dipana una lenta sequenza coreografica, la cui costante è la reiterazione, ora nel tempo – del gesto ripetuto da una danzatrice di seguito all’altra – ora nello spazio – quando il movimento viene eseguito contemporaneamente dalle due protagoniste, l’una in costume bianco, Maria e l’altra in blu, l’Angelo.

Un pas de deux al femminile, per Letizia Giuliani e Federica Maine, che costituiscono l’una il doppio dell’altra e si abbandonano alla partitura, tra l’armonia di Vivaldi, il rumore e il puro silenzio; mentre la danza e la musica, basculando tra rarefazione e carnalità, restituiscono le parole di Agnès Freschel: «danzare l’Incarnazione, anche se immacolata, la trasforma di fatto in opera di carne…».

Nell’allestimento, che ricalca quello previsto per il Ballet Preljocaj nel 2009, un tappeto rosso rettangolare delimita come un ring lo spazio d’azione, mentre l’angolo in fondo a destra è occupato da una panca cubica nera a “L”, che supporta a tratti la coreografia robotica e minimalista di Preljocaj. Incipit ed explicit coincidono specularmente e nel finale rimane la stessa ballerina/Maria che aveva dato inizio in solitudine all’Annunciazione del titolo.

A chiudere il trittico di Serata Sacra è Selon Désir del greco Foniadakis. Un lavoro creato  nel 2004 per il Ballet du Grand Thétre de Génève ed eseguito magistralmente da MaggioDanza.

Selon Désir è una sorta di metafora della scoperta della passione, forse del peccato. Un demiurgo femminile inizia gli altri personaggi di questa allegoria della perdizione all’abbandono dei sensi e il tutto comincia con una ballerina che si muove, agìta dalla musica, in una sorta di delirio bacchico. Amplificatori calati dal soffitto puntellano la scena creando un’anomala scenografia che, anziché creare uno spazio altro in cui lo spettatore possa perdersi, lo richiama alla realtà con un oggetto tanto, troppo quotidiano.

 
 



 

 

La riflessione sull’intero spettro cromatico delle passioni - fede, martirio, dolore, peccato, vizio, estasi, in altre parole il “désir” del titolo - viene così indotta dalla ballerina-demiurgo, dapprima negli altri protagonisti, quindi nel pubblico. Al pari degli oggetti di scena, i costumi alludono inevitabilmente ad una realtà pop e contemporanea e i colori sgargianti, le fogge moderne delle gonne a ruota e le semplici maglie, indifferentemente indossati da ambo i sessi, rimandano all’iconografia “aggiornata” di una menade.

Il susseguirsi parossistico di passi e salti di matrice contemporanea sottolinea l’originalità del pezzo di Foniadakis e il movimento iperbolico, folle al limite dell’isteria, slegato dalla musica che lo accompagna - quella dei corali iniziali delle Passioni secondo Matteo e Giovanni di Johann Sebastian Bach - è una sorta di paradossale conseguenza. L’elemento sonoro, una volta innescato il meccanismo delle passioni e del desiderio, non è più in grado di controllare l’energia cinetica e allora la coreografia si fa potenza e abbandono insieme, contrazione e slancio, salto e fuga dal movimento più definito. Lo spettatore, alla fine di Serata Sacra, ha compiuto  un percorso di crescita spirituale che, partito dalla religiosità più intima e segreta di Stabat Mater e Annonciation, culmina, in un crescendo di emozioni, nell’abbandono all’estasi e al delirio di Selon Désir.

 

 



Francesco Ventriglia, direttore di MaggioDanza




 
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