Cè bisogno, oggi più che mai, di un teatro civile in senso brechtiano come quello di Gabriele Vacis. Un teatro in grado di far pensare lo spettatore, alla larga dagli schiamazzi dei soliti-noti salotti televisivi e dai bombardamenti mediatici. Teatro “impegnato”, che aiuti a capire il presente, magari attraverso la riscoperta dei classici, meglio se capolavori semidimenticati (almeno in scena, almeno da noi). È il caso di Nathan il Saggio, poema drammatico di Gotthold Ephraim Lessing, vero e proprio manifesto illuministico di tolleranza religiosa, o piuttosto di tolleranza tout court. Unopera tardosettecentesca ambientata in Terrasanta allepoca della terza crociata, ma che parla al nostro tempo meglio forse di quanto potrebbe fare qualsiasi testo contemporaneo, confermando, se ancora ce ne fosse bisogno, come le magnifiche sorti progressive delluomo siano poco magnifiche e punto progressive. Una lezione “alta”, contenuta in una favola didascalica da far (ri)studiare anche nelle scuole.
Vacis rielabora il Nathan lessinghiano facendone il fulcro di un monologo personale, e lo affida al talento istrionico di Valerio Binasco, mattatore capace di mille espressioni e mille sfumature della voce. Durante la performance, lex collaboratore di Branciaroli dapprima introduce il tema delle crociate, con punte di ironia dolceamara, dimostrandosi affabulatore dotato di leggerezza (ma quanto intrisa di pesantezza del vivere!). Poi inizia a narrare la storia dellebreo Nathan, impersonando senza soluzione di continuità tutti i personaggi del dramma, dal giovane templare alla bella fanciulla Racha, dallottuso Patriarca di Gerusalemme al Saladino (che non era “feroce”, con buona pace di certe vecchie figurine da collezione).
Valerio Binasco in un momento dello spettacolo
Ne risulta un one-man-show di indubbia efficacia, agile nel manovrare i fili ingarbugliati di più livelli temporali, tagliente nei riferimenti allattualità: i soldati pronti a partire per le missioni di guerra (leggi: di pace) senza lo straccio di un ideale («In nome ehm di Dio e ehm della Madonna», urla il templare in scena brandendo la spada), la citazione della barzellettistica Padania (allindomani delle celebrazioni tricolori).
La forza evocativa della parola è il fondamento dello spettacolo di Vacis. Tutto è affidato alla capacità immaginativa dello spettatore, un po come avviene per il lettore del poema. Quello del regista torinese è un teatro povero, poverissimo, che poco o nulla concede allocchio di chi guarda. Esemplare in questo senso la scena ideata da Roberto Tarasco. Il palcoscenico è nudo. Solo una sedia, stagliata sul fondale nero. In mezzo, calato dallalto, un drappo bianco simulante una vela (nave), che il naufrago Binasco ammaina o inalbera, sfrutta come quinta o indossa come mantello. Lo stesso drappo si fa alloccorrenza schermo per sporadiche videoproiezioni inserite in soccorso dellimmaginazione dello spettatore: la croce rosso fuoco emblema dei templari, i volti infantili che rimandano a quella leggendaria “crociata dei fanciulli” evocata nellincipit. Così la musica. Dalla marcia turca di Mozart al pop contemporaneo fino ai suggestivi jingles orientaleggianti, gli innesti musicali hanno la funzione di commento didascalico alla parola. Un po come quando si evocano i cavalli, e si odono nitriti; si invoca il Patriarca di Gerusalemme, e fluttuano litanie. Sino al momento clou dello spettacolo.
Binasco durante il suo monologo
Poi le luci si abbassano, scende a mezzaria una luna dorata. Il virtuoso Saladino chiede al saggio Nathan quale delle tre religioni monoteiste sia quella vera, e lebreo risponde con la parabola dei tre anelli, che Lessing deriva da Boccaccio. Una lezione raffinata sul rifiuto del dogmatismo, in previsione di una civile integrazione tra i popoli. La parabola è ripresa da Vacis quasi testualmente. Del resto, in palcoscenico, lintero poema di Nathan rivive integralmente, nella propria sostanza filosofica più che nella forma. Col rischio forse di qualche scelta discutibile (daccordo per i recenti anatemi papali contro il relativismo etico, ma, in unepoca che ha conosciuto l11 settembre, riesce davvero difficile accettare la netta contrapposizione ideologica tra il fondamentalismo del capo della cristianità e la modernità illuminata di quello islamico).
Dalla parabola delle tre monete Vacis trae le conclusioni finali. In fondo, ci dice, conta di più la ricerca della verità che la verità stessa. O, se preferiamo, parafrasando Elsa Morante, il movimento «dellarabesco indecifrabile» è più importante della «soluzione del suo teorema». Dopotutto, è noto, quello di Lessing è un inno al relativismo, che fa rima con pluralismo; un tributo alla bellezza della diversità. Visione utopica, certo. Però meditarla vale la pena comunque.
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