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Essenzialità rituale

di Sara Mamone
  The Turin Horse
Data di pubblicazione su web 17/02/2011  

Con un meraviglioso piano sequenza di circa venti minuti si apre il più narcisistico e, insieme, rigoroso film della mostra, Il cavallo di Torino dell’ungherese Bela Tarr classe 1955, scrittore, pedagogo e regista assai legato sia alle teorie dell’immagine che alla grande tradizione del cinema classico. Rigorosamente in bianco e nero, con le splendide riprese di Fred Keleman, il film nulla ha a che fare con il grande folle filosofo precipitato nella demenza a Torino, dopo essersi abbattuto piangente sul collo sanguinante di un cavallo battuto a sangue dal cocchiere, pronunciando le ultime parole di una vita che si sarebbe protratta ancora per dieci anni nella più assoluta afasia. Di questo ci informano le didascaliche righe iniziali che poi, colpo a sorpresa, si  chiedono: «che ne è del cavallo?». Ed ecco il protagonista di questa storia che secondo i dettami della “nouvelle histoire” non si interessa alla vicende dei grandi ma a quella degli umili, ecco il cavallo che supera con rassegnata e insieme fiera umiltà un lungo cammino nella brughiera, allontanandosi dalla città.

 


 
 

La campagna è una campagna brulla battuta in continuazione da un vento implacabile; più da piana ungherese che da dolce Padania, ma questo non ha importanza, poiché l’importanza è tutta nelle immagini di angoscioso realismo, e di esasperante  lentezza, che colgono i gesti misurati ed essenziali della vita contadina. Una vita ai limiti della sussistenza in cui la parola è superflua (il film è praticamente muto) e la ripetitività segna il senso stesso della vita. Al cavallo e al cocchiere si  aggiunge un terzo personaggio, non meno umiliato, anch’esso pura funzione di sopravvivenza: la figlia cha aiuta il padre a liberare il cavallo dal basto, che accompagna l’animale nella stalla, che cuoce ad ogni pasto le patate unico cibo, che aiuta con gesti rituali il padre a vestirsi e spogliarsi, a vestirsi e spogliarsi, che accende il lume la sera e cuce ripetendo gesti senza tempo, che esce a prendere l’acqua dal pozzo.

 


 

Unica sorpresa nella ripetizione dei gesti millenari e, francamente inutile variante, il passaggio di una compagnia scombinata di bon vivants che invita la figlia ad unirsi a loro. L’essenzialità rituale prosegue fino al momento in cui la figlia chiama il padre al pozzo: l’acqua, l’unico vero bene indispensabile, si è esaurita. Senza reazioni apparenti i tre lasciano la casa e intraprendono il cammino verso una possibile salvezza. Altro lungo piano sequenza che segue il cammino di allontanamento e poi di desolato ritorno. Il primo a cedere sarà il cavallo, ancora in piedi e senza un gemito, gli occhi socchiusi mentre la figlia chiude la stalla per sempre. Poi toccherà agli umani: ancora qualche giorno, ancora i gesti rituali di sempre fino a che anche la luce del lume a petrolio sarà spenta.

Certo in controtendenza rispetto alla chiassosa affabulazione di molte pellicole fin qui presentate, il film è tutto fondato sullo stile. A scelta: un’emozione!, una noia!

 

The Turin Horse
cast cast & credits
 



Il regista, Béla Tarr


 
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