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Amor di patrie

di Sara Mamone
  Almanya
Data di pubblicazione su web 13/02/2011  

Estensione familiare di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (il bel film di François Dupeyron dal bel testo di Eric Emmanuel Schmitt) Almanya dimostra l’inesauribile ricchezza della “commedia nuova” basata sulle infinite situazioni drammaturgiche create dal meticciato metropolitano e in questo caso, più limitatamente, dai contraccolpi della migrazione nei rapporti familiari tra generazioni. La lista dei film riusciti in questo campo è infinita ma forse la vera novità sta nella generazione di autori “oriundi”che, già ampiamente presenti nel panorama letterario ora si affacciano pieni di energie, humour e qualche giustificata rivendicazione a descrivere la propria realtà bifronte, figli dell’integrazione ma nipoti di culture diverse e finalmente, dopo le prudenze mimetiche dei parenti immigrati di prima generazione, rivendicate come ricchezza. Se monsieur Ibrahim era il risultato sensibile e attento di una civiltà della tolleranza (straordinario valore occidentale che comunque comporta una qualche sfumatura di superiorità), e Abdellatif Kechiche col seducente Couscous aveva regalato l’illusione di un talento sincretico, questo sincretismo diventa ancora più significativo nella cordialità di un prodotto mediano, Alemanya appunto il cui sottotitolo Wilkommen in Deutschland molto dice dell’atteggiamento dei suoi autori, meglio autrici, le sorelle trentenni Samdereli: Nesrin, cosceneggiatrice e Yasemin, regista, nate a Dortmund e, quest’ultima, allieva della scuola di cinema di Monaco. 
 


 

Il benvenuto in Germania è quello che riceve il patriarca della famiglia, l’armeno Huseyin Yilmaz quando giunge il 10 settembre 1964, milionesimo straniero all’ufficio immigrati e, cedendo il posto per cortesia, si trova milionesimo +1 e quindi ri-precipitato nell’anonimato più oscuro. Proprio la sua storia oscura viene raccontata ad un nipote bambino, umiliato a scuola dal rifiuto dei compagni turchi ad immetterlo nella propria squadretta (non è più turco, essendo i suoi genitori ormai di nazionalità tedesca) e dalla parallela ripulsa dei tedeschi (che tedesco è uno che si chiama Cenk Canan e la cui famiglia proviene da un paese che non sta nemmeno nella carta d’Europa?). I quarantacinque anni della storia del patriarca, dei suoi figli e dei suoi nipoti, si snodano con grazia attraverso il racconto, fatto di armoniosi flashback, di una nipote che collega i fili dei racconti familiari, vissuti à rebours: dall’emozione per l’ottenimento del passaporto tedesco alla infanzia armena, all’innamoramento, all’immigrazione lacerante che prima priva per lungo tempo i figli del proprio  padre e poi, quando questi verrà a riprenderseli, degli amici e delle abitudini acquisite. E poi le emozioni della madre, prima chiusa nel guscio domestico e poi sempre più integrata;  a sorpresa, dopo quasi mezzo secolo la decisione autoritaria del ritorno in Armenia. 
 


 

Ma il vecchio è saggio e sa che la vita dei suoi è in Germania: il viaggio sarà semplicemente l’occasione per conoscere la propria storia e le proprie radici. Anche il destino è saggio e concluderà con un colpo di genio la vita dell’uomo, proprio la da dove era partito, là, dove un figlio resterà per ricostruire la casa che si era rivelata un rudere. Toccherà al nipote, al ritorno “in patria“ pronunciare dinanzi alla cancelliera tedesca che aveva invitato il nonno con altri immigrati di lungo corso ad un ricevimento d’onore, pronunciare le parole testamentarie del nonno “Sono felice”. Finalmente fiero il nipotino porterà a scuola una carta d’Europa che comprenda la sua Armenia e, non più “né turco né tedesco”, potrà forse un giorno sentirsi turco tedesco.

 

 

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