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Con gli occhi grandi di bambina

di Sara Mamone
  El Premio
Data di pubblicazione su web 12/02/2011  

El premio, di Paula Markovitch, sembra fatto apposta per la Berlinale: è il film di una donna quasi all’esordio, tratta da un punto di vista marginale una grande tragedia, è latamente autobiografico, e, condizione non indispensabile ma coadiuvante, tratta una storia tutta al femminile e, per di più, da un punto di vista infantile (che è, ovviamente quello dell’autrice io narrante). Lungi però dal pensare che sia una confezione su misura, anche se ne ha le misure giuste, il film nasce sicuramente da un’esigenza interiore, testimoniata più dalle ingenuità che dalle furberie accattivanti. In una terra di nessuno, ai confini di un’Argentina splendidamente solitaria e drammaticamente arretrata, anche gli orrori del regime fascista giungono attenuati e la natura imprime i suoi ritmi, ora placidi ora violenti, alla vita di una misteriosa coppia, costituita da una madre e da una bambina che vivono isolate dal resto del mondo, in una baracca in riva al mare. C’è un mistero nelle loro vite, è ovvio, e il mistero è quello di un’assenza, coniugale e paterna.

  


 

La bambina chiede, la madre non dà risposte e la vita solitaria si organizza in maniera affettuosa, ma forse dire che si organizza non è esatto: la vita scorre in assoluta solitudine, tra l’ incapacità smarrita della madre e la sempre più evidente necessità della bambina di vivere una vita di relazione. Cecilia viene finalmente iscritta a scuola, in modo un po’ fortunoso poiché non ha documenti, e inizia una nuova vita che dà il via, inevitabilmente, al suo piccolo bildungroman, alla amicizie infantili, alle gelosie, ai primi palpiti del cuore. Un giorno, nella misera routine della scuola, vissuta tra piccole emozioni e sotto la guida di una maestra che con la sua pacata maturità fa in qualche misura da contraltare alla inconsistenza educativa della madre, entra di soppiatto, sotto le sembianze anch’esse infantili di un giovanissimo militare, la storia: anch’essa ovattata dalla lontananza, incide pian piano nella vita della piccola comunità e, in modo dirompente, in quella della madre e della figlia, riportando, nell’isolamento che si rivela sempre più come una fuga e una latitanza, allo svelamento del mistero: il padre è un oppositore del regime, forse imprigionato, forse ucciso, la madre è scampata e si è rifugiata con la piccola ai confini del mondo.

 


 

Quando la piccola sta per tradirsi e consegnare quindi il resto della sua famiglia ad un destino tragico, la solidarietà dell’insegnante e la sua placida maturità permettono alla bambina, senza nulla rivelare della propria identità, di vincere il premio in palio per la piccola comunità e di accostare i ridicoli riti del potere con sorniona reticenza: la sua maturazione è ormai compiuta e poco importa che il ritorno del tutto inatteso e non molto credibile del padre sia vero o sia una proiezione del suo desiderio. Sull’immagine dell’abbraccio della famiglia ricomposta si chiude il film. Il cui merito non sta evidentemente nella trama, ma nella sottile progressione dei sentimenti, nel progressivo definirsi dei caratteri attraverso mutamenti impercettibili, e anche negli inattesi cambiamenti di fronte affettivo (quasi didascalico il voltafaccia dell’amichetta che si sente emarginata nel rapporto con un più adulto compagno). Il merito, e anche qualche demerito, sta nella capacità di dare spessore emotivo alle immagini, nelle lunghe carrellate che accompagnano l’incessante camminare della protagonista, nella preponderanza di segni affidata allo sguardo. Il demerito sta nell’insistenza, nel compiacimento delle immagini e soprattutto, per i vecchi irriducibili stanilslawskiani, nel pesante dispregio della verosimiglianza. È vero che la poesia non ha bisogno di consequenzialità logica. Ma allora deve essere vera, forte, prepotente, togliere il respiro e disorientare la  ragione. Altrimenti se la ragione resta vigile bisogna essere disposti a pagare le conseguenze della sua pedante consequenzialità. La poesia non può essere un alibi ai vuoti della narrazione. Né può porre rimedio a tutto la prova di un cast molto ben amalgamato e la superba prova della piccola Paula Galinelli  Hertzog che trova la giusta misura tra candore infantile e autocoscienza interpretativa, senza giungere, per fortuna, a quei vertici di imbarazzante bravura a cui da qualche tempo anche i bambini sembrano non saper sfuggire.

 

 

El Premio
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