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Cose da fare prima di morire

di Paolo Grassini
  biutiful
Data di pubblicazione su web 07/02/2011  

Alejandro González Ińárritu ha sciolto il sodalizio con lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, ma è un’assenza che almeno all’inizio non si avverte perché la formula usata dal regista messicano pare più o meno la stessa servita negli altri film.

Prima o poi arriva un totale che ci mostra un immobile e silente panorama di città e si vuol dire così che sotto ognuno di quei tetti, dietro quelle pareti, procedono le esistenze dei singoli. Il caso dà poi una mano a farle incontrare, di solito in percorsi lastricati di sofferenza e di eventi luttuosi.

Anche questa prova europea ha quindi premesse che rimandano ai suoi precedenti film, con una fabula però, che lascia meno spazio al gioco delle vicende che vanno a intrecciarsi e con più dedizione verso una figura di protagonista accentratore.

La macchina da presa stavolta è dunque tutta per il volto da adone malinconico del candidato all’oscar Javier Bardem, che pare non soffrirne l’invadenza. L’attore, già premiato per questa prova a Cannes, interpreta Uxbal, padre separato con due bambini, dedito all’intrallazzo per professione (sfrutta o aiuta, dipende da come la si vuol vedere, immigrati senegalesi e cinesi) e con il tormentoso dono di poter comunicare con le persone appena defunte. Un’attività questa che gli vale qualche spontanea mancetta dai parenti degli appena deceduti e che non fa altro che sottolineare la sua condizione di instabilità.

  


 

Barcellona immortalata da Ińárritu non è la ricca e moderna testimone del miracolo spagnolo appena trascorso, ma è fatta degli angoli lividi di una città mediterranea, ingolfata di automobili e abitata da un sottobosco umano che ci immaginiamo di poter trovare anche a Marsiglia o a Napoli, per esempio.

Uxbal che di questa fauna è un rappresentante, cerca soprattutto di badare ai figli, data la scelleratezza della madre (una ben scelta Maricel Alvarez), donna mentalmente disturbata e dalle poche virtù materne. Ha poi un fratello debosciato su cui non poter contare e in ultimo, un tumore alla prostata in stato avanzato.

Questo è il quadro, che tuttavia si aggrava.

Senza spostarsi di nazione in nazione come faceva in Babel, Inarritu porta in giro comunque il protagonista in città di fatto distanti tra di loro, poiché Barcellona vissuta dai diversi gruppi immigrati è ogni volta un mondo a sé.

Dopo una prima manifestazione del sovrannaturale, si pensa a un canonico film ‘sull’aldilà’, invece del gran viaggio si viene a sapere davvero poco. Si vira subito ‘di qua’, verso un mondo concreto fatto di necessità e di responsabilità, che il pensiero della morte incombente amplifica.

Assurdo è morire, straziante è per qualcuno saperti morto.

 


 

Così gli ultimi giorni di Uxbal si trasformano in un moto affannoso contro il più inaccettabile e certo dei destini. Più che per espiazione lotta per sistemare le cose, per congedarsi dal mondo avendo fatto il possibile per il futuro dei suoi figli.

E questa incertezza, questo dovere dei vivi, non viene reso più leggero neanche dalla sua confidenza con la morte, che nel film viene rappresentata in varie declinazioni delle sue sembianze materiali e corporee. Nella magrezza progressiva che ha richiesto a Bardem un deperimento visibile o nelle camere mortuarie illuminate dai neon, fino al corpo mummificato, ultimo appiglio di una memoria insoddisfatta, del padre di Uxbal, scomparso prima che lui nascesse.

Da imputare a Inarritu c’è sicuramente la facile accumulazione di dolore mostrato o lasciato immaginare, al punto da sembrare davvero troppo per sostenere una parabola che in ultimo evita,  per fortuna, l’affondo cinico di una spietata beffa terrena e sembra risolversi in un oltretomba  innevato e sospeso, reso migliore anche dalle note toccanti di Ravel.     


 

Biutiful
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