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Una parodia de-genere

di Francesca Valeriani
  The Green Hornet
Data di pubblicazione su web 03/02/2011  

Analizzare e valutare The Green Hornet pensando di trovarsi di fronte a un film di genere può risultare fuorviante. Occorre quindi precisare che l’ultima pellicola diretta da Michel Gondry si propone principalmente di parodiare quel tipo di ‘prodotto’ che negli ultimi anni ha invaso il cinema, ovvero i superheroes films. I numerosi e fortunati adattamenti cinematografici dei più celebri personaggi della Marvel Comics e della DC Comics si possono collocare sia all’interno del cosiddetto main stream, che nel più ristretto cinema d’autore. Registi come Tim Burton, Sam Raimi, Ang Lee e Christopher Nolan si sono lasciati affascinare dalle potenzialità narrative, estetiche e poetiche insite nel carattere di un supereroe, realizzando mirabili e talvolta visionare scene d’azione, arricchite da una più o meno approfondita analisi psicologica dei personaggi.

 


 


 

Gondry, che in passato ci ha sorpreso con gli universi onirici e surreali di Human Nature (2001), Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) e La science des rêves (2006), schernisce e allo stesso tempo si serve degli stereotipi che risiedono nel mondo dei fumetti, alternando una comicità demenziale con una spettacolarizzazione che purtroppo si affida a una mal riuscita tridimensionalità. Considerando che l’utilizzo di questo formato ha senso solo se ogni inquadratura è concepita allo scopo di esaltare la profondità di campo, a partire dalla più semplice composizione del quadro fino ad arrivare alla posizione e ai movimenti degli attori e degli oggetti nel profilmico, l’opera realizzata da Gondry non soddisfa le aspettative che giustamente si devono avere nei confronti di una pellicola in 3D. Il regista, infatti, non sfrutta le semplici e considerevoli occasioni che si presentano nelle numerose scene d’inseguimento: le automobili e le armi utilizzate dai due protagonisti, che dovrebbero ‘investire’ e ‘colpire’ lo spettatore, denunciano la loro bidimensionalità. Sorprendentemente la profondità di campo si presenta nelle sequenze girate in interni, dove la scarsa altezza del soffitto tende a ridurre lo spazio abitabile, esaltando lo sfondo e ottenendo un’interessante visione prospettica.

 


 


 

Per dar vita al suo nuovo lavoro, il regista francese ha preso spunto da una trasmissione radiofonica risalente agli anni Trenta, ideata da George Trandle e Frank Stricker, divenuta nel decennio successivo un fumetto e negli anni Sessanta una serie tv. Il soggetto del film vede come protagonista un ricco playboy senza cervello, Britt Reid (Seth Rogen), che in seguito alla morte del padre eredita un impero e la gestione dell’unico giornale indipendente di Los Angeles. L’avvicinamento verso il mondo del lavoro e dei media porta Britt ad aprire gli occhi sulla drammatica situazione in cui versa la metropoli. Grazie alle preziose risorse progettate da Kato (Jay Chou), l’assistente factotum di Reid senior, Britt decide di combattere il crimine fingendosi un delinquente. Con l’aiuto della nuova segretaria Lenore Case (Cameron Diaz), lo spregiudicato Green Hornet dovrà ostacolare il più pericoloso malvivente della città, il russo Benjamin Chudnofsky, interpretato dallo straordinario Christoph Waltz. Quest’ultimo è chiamato a ironizzare sul ruolo che lo ha reso celebre e gli ha valso la statuetta come Miglior Attore non Protagonista per Inglourious Basterds di Quentin Tarantino (2009), mentre Seth Rogen (che firma anche la sceneggiatura) esaspera la stupidità di Britt con una recitazione sovresposta, che diventa volutamente insopportabile. L’eroe senza virtù proposto da Gondry viene schiacciato dall’intelligenza e dall’abilità delle sue due spalle, Lenore e Kato. La segretaria, seppur marginale, rappresenta la vera mente della “banda”. Emancipata e determinata, Lenore riesce a tenere a bada gli impulsi sessuali dei due maschi, senza incappare in un rapporto sentimentale, che solitamente integra il plot di un film d’azione. L’aiutante di origine cinese, che nel serial televisivo era interpretato da Bruce Lee, risulta ben delineato: ingaggia funambolici combattimenti di arti marziali con i suoi rivali, realizza automobili indistruttibili e crea sostanze soporifere in attrezzati e fantascientifici laboratori. Occorre inoltre notare che il personaggio di Kato, che fin dai tempi della trasmissione radiofonica ha svolto il ruolo di spalla del Calabrone Verde, è diventato frutto d’ispirazione per la serie The Pink Panther. Infatti, nelle pellicole ideate e dirette da Blake Edwards il lottatore orientale affianca il mitico Jacques Clouseau (Peter Sellers) con il compito di tenerlo in allenamento con improvvisi, distruttivi ed esilaranti assalti.

Nonostante le potenzialità del 3D vengano insensatamente sprecate, l’operazione di Gondry appare chiara: attraverso la destrutturazione di più generi, il regista realizza la sua parodia, arricchendola di particolari tecniche che rispondono sostanzialmente a una funzione attrazionale, come lo slow motion e lo split screen. Gondry sceglie di rinnovare le soluzioni estetiche già proposte nei suoi videoclip di esordio, servendosi di citazioni cinematografiche (dall’hitchockiano North by Northwest al tarantiniano Kill Bill, passando per Super Fly di Gordon Parks Jr.) che danno vita a un calderone talvolta privo di significato. Le sequenze più interessanti del film sono da rintracciare nelle visioni soggettive dei due improvvisati paladini; grazie a una repentina zoomata sull’occhio di Britt o Kato, lo spettatore penetra nella mente degli eroi e diviene partecipe del loro particolarissimo sguardo, capace d’individuare tutte le armi disponibili nel proprio raggio d’azione. Come i suoi eroi, il francese Michel Gondry ha indossato la maschera e si è travestito da regista hollywoodiano.


The Green Hornet
cast cast & credits
 






 
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