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Sullo stomaco

di Roberto Fedi
  Calcio e TV
Data di pubblicazione su web 31/01/2011  

Tra le tante nefandezze televisive, quest’anno c’è una novità, che appartiene al Dio della domenica, come si diceva una volta (intendiamo il pallone, non Lui): e che oggi è piuttosto anche del venerdì, sabato, lunedì, martedì eccetera. Siamo insomma, si vuol dire, invasi dal pallone e dal calcio, in televisione, praticamente ogni giorno della settimana.

 

Si dirà che è meglio il pallone di Ruby e del bunga bunga, e magari avrete ragione. Ma insomma un freno ci vorrebbe. Per il suddetto bunga (bunga) basterebbe il fren dell’arte, o almeno del buon gusto – merce rara a qualsiasi livello, come si vede, e rarissima a livelli alti. Non ci fa piacere parlarne perché è da fuori di testa che ogni talk show tratti le questioni pelviche come se fossero affari di stato (lo sono, veramente: bello stato), mentre il Paese, con la maiuscola, vivacchia o peggio. Ci sarebbero anche cosette meno sceme. Non tanto lontano, per esempio, scoppia il mondo per questioncelle che niente hanno a che vedere con le escort, mentre lo zio di Ruby (presunto zio, ovvio) ci pare finalmente messo in discussione da gente che, lì davvero, non ne può più. A parte i Tiggì, non è che se ne parli molto, qui da noi. Una barzelletta che circola, non male, è che Mubarak abbia intenzione di chiedere asilo a Berlusconi dicendo di essere appunto lo zio di Ruby: ma non si può sempre essere in vena di ridere. Torniamo a bomba.

 

La perversione delle perversioni, peggio del bunga (bunga), è la partita di calcio alle 12.30 della domenica, seguita ovviamente dalle Tv private. Qui limitiamoci a Mediaset Premium. Che apre la domenica calcistica, fra inutili e soporiferi dibattiti in puro italiese, alle 12, e la chiude più o meno a mezzanotte. Il giorno prima ha aperto il sabato alle 17, anzi molto prima con una interminabile serie di filmati di roba vecchia, ma sempre pallonara, e interviste a italofoni in difficoltà (ex calciatori, allenatori…). E l’ha chiuso di notte, dopo la partita delle 20.45. Chi se le guarda tutte alzi la mano, così gli consigliamo il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

 

Si tratta di trasmissioni che definire inutili è poco. Perché il calcio, di per sé, sarebbe anche un bello spettacolo: se il commentatore è bravo, e se i giocatori sono all’altezza, se le riprese sono ben fatte, naturalmente. Ma  mettere in uno studio sempre uguale tre o quattro noiosi, incapaci di esprimersi in un modo interessante, con una bellona e tettuta (neologismo) che non la smette mai di parlare e dice in cento parole quello che si potrebbe dire in dieci o forse meno, generosamente esagerando anche nell’esibire il decolleté come ‘segno’ dell’abbondanza dell’offerta Mediaset, beh sfida qualsiasi decenza comunicativa.  

 

È il contrario di ciò che si intende per spettacolo televisivo: e il calcio si può chiamarlo come si vuole (rito tribale soprattutto), ma pur sempre spettacolo è. Ora: chi andrebbe al cinema alle 12 e trenta della domenica? Qualche disperato, e forse neanche quello. Invece, per il solito problema dei diritti, gli incontri sono televisivamente ‘spalmati’ nell’arco di tre giorni, o due quando va bene – ma allora come abbiamo detto la ‘spalmatura’ è sulle dodici ore al giorno, più o meno. Si dirà, anzi l’hanno già detto, che si tratta del lunch time, e che anche in Inghilterra lo fanno. Se è per quello, allora, lì fanno anche la kidney pie, pasticcio di rene, che sfidiamo chiunque non sia nato sotto il segno di Albione a ingoiare (sa di acido urico, per essere chiari: non ve la consigliamo).

 

La trasmissione alle 12 e trenta è quanto di più desolante, triste, noioso si possa immaginare. Anche i giocatori, che hanno pranzato alle 9 di mattina (!), sono visibilmente stravolti. I commentatori idem, e si capisce lontano un miglio che vorrebbero essere a tavola, piuttosto. Immaginiamo famiglie sciagurate costrette a pranzare, la domenica, davanti al televisore da qualche citrullo strafatto di pallone. Gli stadi sono semivuoti. I preti si sono arrabbiati perché già nessuno va di solito alla messa, la domenica, e ora temono ancora meno.

 

Una volta, per puro spirito di servizio, abbiamo guardato. C’è rimasto tutto sullo stomaco. 





 
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