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Scorretto non troppo

di Marco Luceri
  Che bella giornata
Data di pubblicazione su web 12/01/2011  

Il 2011 del cinema italiano si è aperto all'insegna di Checco Zalone: il camaleontico comico pugliese ha sbancato i botteghini con Che bella giornata, il film dell'amico regista Gennaro Nunziante, di cui è protagonista, uscito il 5 gennaio nelle sale italiane e capace di raggiungere l'incasso record di sette milioni di euro in un solo fine settimana. Nato artisticamente nel cabaret televisivo di Zelig, l'attore barese (il suo vero nome è Luca Medici) con la passione per la musica, lo sberleffo e la parodia aveva già sorpreso l'anno scorso con l'inaspettato successo di Cado dalle nubi. Con il suo nuovo one man show la star di Capurso è tornata al cinema, scalzando i cinepanettoni con una storia che sembra confezionata per essere scorretta, ma solo fino al punto giusto. Checco, buttafuori di una misera discoteca della Brianza, a causa del pericolo di attentati che richiede misure straordinarie per i luoghi a rischio, si ritrova a lavorare come addetto alla sicurezza del Duomo di Milano. In poco tempo e grazie alla sua spiccata capacità di creare guai e malintesi, Checco diventa la vera minaccia al patrimonio artistico e presto ci si rende conto di non aver fatto un grande affare ad assumerlo. Un giorno incontra Farah, una studentessa d'architettura che si finge francese e se ne innamora; la ragazza in realtà è araba ed è a Milano per portare a termine la sua personalissima vendetta. Farah intuisce subito che Checco, tanto ignorante quanto ingenuo, potrebbe essere un perfetto e inconsapevole collaboratore per il suo piano. Naturalmente, alla fine, come in tutte le fiabe che si rispettino, vincerà l'amore.

 



Se nel calcio vale l'assunto che squadra (e schema) che vince non si cambia, si capisce perché la coppia dalle uova d'oro Zalone-Nunziante abbia cambiato pochissimo rispetto al primo film, proponendo quindi per Che bella giornata una commedia dalla struttura molto semplice, tutta imperniata sulle capacità dell'attore pugliese di restare sempre al centro della scena, spalleggiato qua e là da buoni comprimari (come un superbo Rocco Papaleo nei panni del padre di Checco, militare in Iraq per pagarsi il mutuo). Fosse semplicemente così, però, non si capirebbero le ragioni di tanto successo. In realtà quello che fa Zalone non è altro che battere strade vecchie, ma abbandonate da almeno vent'anni da certo cinema italiano. Il registro comico dell'attore pugliese, pur rifuggendo la retorica, punta tutto sulla serializzazione del personaggio (Checco è l'archetipo dello scemo, del tonto e dell'ingenuo, che fa parte del genere da sempre) e sulla sua spiccata dimensione regionalistica (il dialetto, il folklore, lo stereotipo del meridionale ignorante, ma buono, passionale e accogliente). In tal modo Zalone crea un personaggio rassicurante, che attraversa indenne lo squallore etico dell'Italia contemporanea (corruzione, raccomandazioni, angherie, prepotenze, superficialità ecc.) senza innescare nello spettatore un sentimento di condanna, anzi. Proprio perché Checco è quello che è, allora gli si può perdonare ogni cosa, perché in fondo è sincero, no? Ecco che allora il personaggio, inserito nel meccanismo della fiaba, con il più classico degli happy end, è anche consolatorio, perché assolve con la sua genuina bontà (?) e il suo italico spirito di sopravvivenza ogni manchevolezza e ogni tipo di errore, sia nella dimensione privata che in quella pubblica. Altro che, come hanno scritto molti commentatori, «scorretto», «cattivo» e «irriverente». In realtà è l'esatto contrario.



 

Per un pubblico stanco (il declino della formula dei cinepanettoni è direttamente proporzionale all'imbarbarimento televisivo – e non solo - del dibattito politico, mai sceso così in basso, sia a destra che a sinistra), annoiato e sfiduciato, la comicità di Checco Zalone, che trasforma l'anormalità in normalità, è davvero terapeutica, capace cioè di assolvere ogni vizio e pregiudizio, come lo sono stati nei mesi scorsi altri film di questo nuovo filone del cinema italiano,  Basilicata coast to coast e Giù al Sud, inaspettati campioni di incassi. Tutti prodotti medi che sfondano perché sono capaci di arrivare a tutti: dall'intellettuale alla casalinga, dall'operaio allo studente, dal manager alla commessa, ecc. e perché pronti nell'intercettare (grazie anche a un generoso clamore pubblicitario) quella famosa «pancia degli italiani», di cui parla molto intelligentemente Beppe Severgnini nel suo ultimo libro, La pancia degli italiani - Berlusconi spiegato ai posteri (Rizzoli). È per questi motivi che bisognerebbe stare molto attenti nell'uso di termini quali «commedia all'italiana». Di là c'era la cattiveria. Di qua c'è la consolazione. Non è proprio la stessa cosa.

 

Che bella giornata
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