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Avetrana forever

di Roberto Fedi
  Avetrana forever
Data di pubblicazione su web 11/01/2011  

Riaccendere il televisore dopo venti giorni di vacanza salutare (a proposito, buon inizio del 2011 a tutti) e ritrovarsi, domenica 9 gennaio, su Rai Uno nel primo pomeriggio a discutere di Sarah Scazzi fa un certo effetto, ammetterete. Si chiama dejà vu, com’è noto. Ed è, citiamo, “la sensazione di aver già vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si sta verificando”. Si sono tentate molte spiegazioni scientifiche o para-tali, e ci si può sbizzarrire: si va dagli influssi astrali, a ricordi di un’altra vita, a scemenze pure e semplici e a più serie – se ripetute – ragioni patologiche. Qui ci fermiamo con le neuroscienze e entriamo in Rai Uno.

 

Secondo noi questa è pura patologia: ma, badate bene, non dello spettatore, insomma del “ricevente” del messaggio, ma del messaggio stesso; o, meglio, dell’ “emittente”, come anche si dice. Che in questo caso è una ‘striscia’ domenicale moderata dal sor Giletti, quello che è pettinato come se avesse fatto un tuffo e non si fosse aggiustato la chioma, e invece è solo cotonato ad arte (pessima arte) perché probabilmente va sul pelato. In collegamento l’ormai onnipresente Vittorio Sgarbi, a cui si attaglia perfettamente una battuta che, temporibus illis, disse seccatissimo ed ironico il grande (quando giocava) Platini, a cui ogni giorno, continuamente, chiedevano interviste che lui a un certo punto si era scocciato di concedere.  Anche Einstein, rispose più o meno, se lo avessero intervistato tutti i giorni alla fine sarebbe sembrato un cretino. E io, aggiunse, non sono Einstein, figuriamoci.

 

Non lo è neanche Sgarbi, duole (per lui) ammetterlo. Ma  questo va in televisione un giorno sì e uno no, straparla, scrive sui giornali anche dei colibrì di Berlusconi, di politica, di arte (lì è competente), di costume, di tutto. E anche di Sarah Scazzi. Il parterre degli ospiti era il meglio che si potrebbe immaginare per un cinepanettone alla De Sica, solo che lì non si parlava di culi e tette ma di un dramma avvenuto, se non ci imbrogliamo, il 26 agosto e scoperto anche in diretta televisiva la sera del 6 (ci pare) ottobre. Sono cioè passati ben quattro mesi e mezzo, più o meno. Inutile dire che le indagini sono a zero, ma a questo siamo abituati in questo paese di investigatori televisivi e di Don Mattei. Ma quello che stupisce è l’accanimento con cui, si può dire ogni giorno, la Tv di Stato (le private lasciamole stare perché almeno debbono pensare solo all’audience, e non pretendono di fare ‘inchieste’) si butta a corpo morto su questo argomento.

 

Non se ne può più. Il caravanserraglio che si è scatenato intorno a questo caso, che se la mamma non fosse – ci pare – una Testimone di Geova farebbe pensare a quello di Maria Goretti, proprio per lo sfruttamento bieco a fini diversi (là  ideologici, qui di mercato), è abominevole. È poi inutile scandalizzarsi se il fratello e altri disperati hanno addirittura fatto e pubblicizzato un calendario (!!) presentato nel borgo selvaggio da un ‘tronista’ di cui non ricordarsi il nome è bello. E la Rai? Ha bisogno di questa ormai insopportabile tragedia per attirare un po’ di gente con la panza piena la domenica pomeriggio?

 

La cosa, lo diciamo senza eufemismi, fa schifo. E fa il paio con quell’altra, di cui hanno parlato i giornali. E cioè della decisione di portare per le feste di Capodanno, in Afghanistan, un po’ di Festival di Sanremo, con la Canalis, la Belen e Morandi a rallegrare le truppe: pensata geniale del Ministro della Difesa (dell’offesa, verrebbe invece da dire, al buon gusto), abortita solo perché c’è stato, per l’ultimo dell’anno, un militare ucciso, e non sembrava bello andare a far vedere le tette in quelle condizioni.

 

Come vedete, amici, se il buon anno (televisivo) si vede dal mattino, ma anche dal pomeriggio, siamo messi male. Che dire? Che non c’è limite al peggio? Figuriamoci: aspettate la metà di febbraio, e vedrete con Sanremo del 150° dell’Unità dove andremo a cadere.

 







 
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