Jean-Pierre Jeunet lha fatto ancora: ha creato un microcosmo di amabili emarginati, le cui vicende si svolgono parallelamente allordinaria quotidianità di Parigi. Se lespediente dellaffabulazione al servizio di una vicenda edificante non è nuovo, certo lo è il peculiare metodo-Jeunet di metterlo in atto: per chi aveva nostalgia del favoloso mondo di Amélie Poulain, ecco una nuova fiaba che denuncia senza ammorbare, diverte senza essere sguaiata. A Jeunet il merito di trasmettere la sua morale pacifista senza scadere nella retorica.
Il film si apre con un prologo che narra lantefatto: la morte del padre di Bazil a causa di una mina e lassurdo episodio della sparatoria di cui lo stesso Bazil (Dany Boon) è spettatore, per puro caso. Si ritrova così con una pallottola conficcata nel cranio a vita.
Perso il lavoro e lappartamento, viene “adottato” da una stravagante famiglia: ne fanno parte Placard (Jean-Pierre Marielle), un venditore ambulante miracolosamente scampato alla ghigliottina, nonché abile scassinatore; Tambouille (Yolande Moreau), la “mamma” di casa, le cui due figlie sono misteriosamente scomparse; Calculette (Marie-Julie Baup), una ragazzina capace di calcoli impossibili in pochi secondi; Petit Pierre (Michel Cremades), lartista del gruppo, dotato di una forza straordinaria a dispetto dellesile figura; la Môme Caoutchouc (Julie Ferrier), una contorsionista; Remington (Omar Sy), un uomo di colore che ama parlare per “giochi di parole” e Fracasse (Dominique Pinon, attore-feticcio di Jeunet), lautore del record di uomo-cannone del 1977. Rifiutati dalla società, hanno fatto del recupero dei rifiuti chi un mestiere, chi unarte. Saranno proprio loro ad aiutare Bazil a compiere la sua rocambolesca vendetta nei confronti dei commercianti darmi colpevoli daver prodotto la pallottola che ha in testa e la mina che ha ucciso suo padre.
La storia è un pastiche di generi differenti: dal noir che compare sotto forma di citazione (nelle immagini del Grande sonno di Howard Hawks che Bazil guarda al videonoleggio) al film dazione (è quella dei Micmacs À Tire-larigot, gli imbrogli a non finire, come recita il titolo originale); dal film sentimentale (la storia damore tra Bazil e la ragazza Caucciù), a quello comico (le innumerevoli situazioni paradossali e ironiche messe in scena) e al dramma (le tragedie di Bazil, ma anche quelle dei suoi “familiari”).
Caratterizzano latmosfera irripetibile del film la presenza dellelemento circense (la contorsionista, il mimo, luomo-cannone); gag come quella dellorchestrina che compare nella testa del protagonista in continuità con la musica fuori campo e gli stravaganti esercizi mentali che egli esegue di quando in quando.
Torna la componente delle piccole gioie percettivo-sensoriali che già contraddistingueva Il favoloso mondo di Amélie: laddove a Mademoiselle Poulain piaceva tuffare la mano in un sacco di legumi, rompere la crosta della crème brûlée con la punta del cucchiaino e far rimbalzare i sassi sul canale Saint Martin; Bazil adora spremersi in bocca formaggini senza scartarli e ancora, lattitudine giocoso-consolatoria del protagonista è data dal fingere di parlare una lingua straniera dinvenzione (si veda la scena dellofferta delle frittelle a tavola) e dalle sfide a una sorta di morra cinese (con cui Bazil recupera il suo cappello di lana e “vince” un bacio della ragazza Caucciù).
Per raccontarci questa parabola dei giorni nostri, Jeunet fa un uso abbondante di zoom e movimenti di macchina come carrellate e panoramiche, ricorrendo a inquadrature fisse con semplice stacco di montaggio solo quando strettamente necessario. Lungi dal distrarre dalla narrazione, questa modalità di regia conferisce al film un ritmo fluido ma non serrato e accentua laspetto “fiabesco” della vicenda: ogni inquadratura ha il sapore della scoperta, non sappiamo mai dove ci porterà e quello che sembrava un totale si restringe fino a mostrarci un dettaglio che non sospettavamo (come nella cesta di vimini del prologo in cui scopriamo il protagonista bambino in fuga dallorfanotrofio) o si allarga fino a includere un altro personaggio (vedi la scena nel cimitero di Montmartre, dove scopriamo la presenza della ragazza Caucciù, oltre a Bazil e il mimo). A sostegno di questa fluidità di regia, interviene la fotografia di Tetsuo Nagata, che vela limmagine di una trama soffusa e vagamente dantan, dove un colore giallognolo prevale sul resto della scala cromatica.
Consolida il clima “folle e assurdo” della vicenda la colonna sonora, che costituisce una sorta di “basso continuo” piuttosto uniforme ma non monotono. Per le musiche originali, Raphaël Beau crea un mélange di rumori, fisarmonica, violini e pianoforte, racchiusi in ritmi di tango, valzer e marcette; mentre maestose musiche orchestrali sottolineano i momenti di maggiore tensione dellazione. Spicca la canzone Tout lamour que jai pour toi, per la presenza della voce, per la sonorità nettamente diversa dalle altre musiche del film (vi si avvicina solo il brano Pont De Crimée) e per la dirompente cadenza di paso doble: ancora una volta i ritmi di danza la fanno da padrone, come già i valzer di Yann Tiersen avevano accompagnato le vicende di Amélie Poulain. Sia in quel caso che nel nuovo film, è il suono della fisarmonica a connotare prevalentemente le musiche, conferendogli un sapore tra il parigino stereotipato e il gitano.
Oltre a uno stile sonoro tanto singolare, trovate geniali come la casa costruita con materiali di recupero dove abitano Bazil e famiglia e le improbabili invenzioni di Petit Pierre (il topolino meccanico, il bodybuilder a comando, ecc.), contribuiscono a creare un nuovo “favoloso mondo” in puro stile Jeunet.
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