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Storie maialette

di Roberto Fedi
  Franca Leosini - Ezio Capizzano
Data di pubblicazione su web 19/05/2003  
La scena è quasi sempre nuda. C'è un tavolo, e ai due capi sono sedute una signora che fa le domande, e un uomo o una donna che rispondono. La signora si chiama Franca Leosini e sembra una professoressa all'esame di maturità, puntuale ma comprensiva; l'esaminato (pardon: la persona di fronte) risponde. Così per cinquanta minuti: un esame di maturità, appunto.

Il fatto è che invece siamo su Rai Tre, di notte, e che questo è un programma che si chiama un po' sinistramente Storie maledette (domenica, ore 23.25). Davanti alla Leosini sono passati omicidi, disperati, gente che ha subito violenze. Che raccontano la loro storia. Qualche volta maledetta, qualche altra meno.

Nell'esame, pardon nella trasmissione del 17 maggio, la storia tanto maledetta non era. Anzi. Un po' boccaccesca, via; per non dire proprio un po' pecoreccia, tale insomma da giustificare il giochetto di parole del nostro titolo: di cui subito ci scusiamo. Una storia all'italiana: e non tanto per l'argomento, che è universale, ma proprio per come era affrontato, e soprattutto per il personaggio o maturando che stava di fronte.

Il quale, a dire la verità, era invece piuttosto maturo: anzi, ormai pensionato. Un signore d'età, rubizzo e tondetto con barba e capelli bianchi, curatissimi. Facondo, piuttosto. Anzi, quasi grave e verboso, con qualche accenno ahimè inestinguibile d'accento centro-meridionale: ma pieno di sussiego, soprattutto per se stesso.

È costui il prof. Ezio Capizzano, di cui le cronache si occuparono poco più d'un anno fa per certe cassette filmate che il quasi settantenne docente era solito farsi mentre, nel suo studio all'università, si intratteneva in intimi colloqui (come suol dirsi) con alcune sue studentesse. Le cassette erano state rubate dallo studio, e naturalmente diffuse. L'università era quella di Camerino: da cui il titolo (fenomenale) dell'Espresso che lanciò il 'caso' su scala nazionale: "Ecco a voi il Decamerino".

Una storiella, appunto, da commedia all'italiana, e un seduttore di provincia Il professore fu sospeso; rilasciò interviste da morir dal ridere, rivelandosi coram populo come un grande dongiovanni ("non c'è nome di donna che non abbia avuto…"); l'Università cercò di riparare al danno d'immagine con una campagna pubblicitaria nazionale che quasi peggiorò il danno; la moglie chiese la separazione. C'è un processo in partenza. Fine.

Fine? nemmeno per idea. Perché il professore, ormai ex, ha rilanciato. Non contento del fatto che ormai nessuno si ricorda più di lui forse neanche a Camerino, eccolo lì che sfodera tutte le armi del seduttore: blandizie alla compiaciuta Leosini ("lei, che è una bella donna…"), professioni di fede ("vorrei che Dio trasformasse questa in una storia benedetta…"), severi richiami al suo prestigio accademico, anche un po' di filosofia da dopocena o da Costanzo Show ("io sono per il libero amore…", "ogni donna è un mondo da conoscere…"), proteste di innocenza, e anzi forti rivendicazioni di parte lesa. Una recita formidabile.

In tutto questo roteare di occhietti vispi, e malcelati accenti provinciali, il fatto eccezionale è che mai è venuta fuori l'obiezione più ovvia: e cioè che, di solito, le stanze dei professori universitari dovrebbero essere destinate ad altro; e che Boccaccio si insegna, ma solitamente lì non si pratica. Non per essere moralisti, per carità: ma proprio per ciò che una volta si chiamava senso dello Stato, o dignità del ruolo, o deontologia professionale. L'abbiamo detto che era una storia all'italiana. Con un passo degno di uno sceneggiatore alla Flaiano, o alla Metz: che è stato quando il Capizzano, serio e sdegnoso, ha detto che in fondo 'quel' divano lo aveva fatto restaurare lui a sue spese, e 'quel' tappeto lo aveva comprato di tasca sua da un marocchino. Quindi, che aveva da ridire l'Università? Formidabile, ripetiamo.

Dovrebbe essere replicata, in prima serata. Si dovrebbe consigliare alla signora Moratti (Ministra dell'Università) di vederla. Noi la salutiamo, per ora, come un surrogato delle commedie all'italiana di una volta, quelle con Alberto Sordi in gran forma. Un po' più triste e mediocre, magari. Ma, in fondo, mica siamo a Harvard.



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Storie maledette

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