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Intervista a Judy Collins

di Michele Manzotti
  Judy Collins (foto Marco Mori)
Data di pubblicazione su web 20/09/2010  

E' lei la «Judy Blue Eyes» cantata da Crosby, Stills e Nash a Woodstock. Ha collaborato cantando e scrivendo canzoni per tutti i grandi della musica americana, da Joni Mitchell e a Bob Dylan. Infine fu lei a spingere sul palco Leonard Cohen perché interpretasse i brani che lui stesso scriveva. Judy Collins non si è mai esibita nel nostro paese, ma è arrivata proprio in coincidenza con il concerto di Cohen a Firenze per iniziativa de Il Popolo del Blues. Così Paradise (Wildflower, distribuito dalla Audioglobe), ultimo prodotto in ordine di tempo di una vasta discografia, dove sono ospiti Stephen Stills e la grande amica Joan Baez è stato presentato ufficialmente anche in Italia.

 

E' un album con molti brani conosciuti, è un'operazione-nostalgia?

«No, anzi per me ogni nuovo disco è un punto di partenza. Io ho sempre cercato canzoni di altri da interpretare e anche questa volta lo considero un'operazione che guarda al presente e al futuro».

 

Ci sono tre duetti nell'album, tra cui uno con Stills e uno con Joan Baez. Le piace cantare insieme ad altri artisti?

«Nella mia carriera discografica ci sono cinque duetti in tutto, tre dei quali in Paradise. Quello con Stephen Stills è stata una sua decisione, mentre per quanto riguarda Diamonds and Rust con Joan Baez l'idea è stata mia, ma in fondo  avevamo voglia di cantare insieme dopo che lo avevamo fatto nel 1967».

 

Anni importanti per la musica americana, cosa ricorda in modo particolare?

«La fortuna di avere un'etichetta come la Elektra che mi dava la possibilità di incontrare tanti colleghi scambiandoci esperienze e canzoni. Interpretai Both Sides Now di Joni Mitchell che a sua volta mi incoraggiò a cantare brani miei. Cohen era timidissimo e insistetti molto perché mi facesse ascoltare ciò che scriveva. Quando sentii Suzanne capii che doveva affrontare il pubblico».

 

E Bob Dylan?

«Ultimamente non ho contatti con lui, però ci siamo conosciuti all'inizio degli anni '60 quando entrambi ci esibivamo in Colorado. Poi è capitato che entrambi abbiamo abitato a casa del suo manager di allora, David Grossman. Una notte sento una melodia che saliva dal piano terreno: io mi alzai e mi avviai verso le scale. Dylan stava scrivendo Mr Tambourine Man  e io sono stata la prima persona ad ascoltare questo brano, in pigiama seduta sugli scalini».

 

Lei ha interpretato anche Marieke di Jacques Brel. Cosa le ha dato musicalmente l'Europa?

«Claude Debussy. E le arie d'opera italiane: a partire da quelle di Giacomo Puccini. Una volta ho anche affontato brani popolari russi, così particolari nella loro figurazione ritmica».

 

Ha parlato di autori classici, fanno parte della sua formazione?

«Io sono partita dagli studi classici. Ho imparato il pianoforte grazie all'aiuto di una grande insegnante, Antonia Brico, per metà italiana e per metà olandese. La musica classica, trasmessa attraverso di lei, per me è essenziale. Non solo e non tanto come ascolto, ma soprattutto come metodo. Mettermi al pianoforte e studiare è importante per la mia attività».

 

E chi rappresenta a suo parere oggi la sana tradizione musicale americana, quella che è originata da Pete Seeger?

«Io, senza dubbio. E con me tutti quegli artisti che hanno fatto buona musica a partire dagli anni '60 e che oggi continuano a farlo grazie alla loro bravura e alla qualità delle canzoni».

 

Nella sua carriera è anche stata scrittrice e attrice...

«Scrivere è una parte importante della mia attività. Sto finendo un libro chiamato Suite: Judy Blue Eyes per ricordare il periodo musicale tra gli anni '60 e '70. Ma non ho trattato solo di musica: ho pubblicato libri per bambini e raccontato l'esperienza molto triste del suicidio di mio figlio. Per quanto riguarda me, l'essere attrice è molto faticoso perché presuppone un impegno a tempo pieno».

 

Lei è sempre stata molto impegnata sul fronte dei diritti civili. La musica è un'arma per combattere contro altre armi?

«Lo è, ma ci sono a volte condizioni ambientali che limitano questa possibilità. Pensi a coloro che sono costretti a vivere sotto dittature feroci. Per quanto riguarda gli Stati Uniti non riesco a comprendere come il mio paese non abbia ancora imparato lezioni come quella del Vietnam. E invece siamo ancora a dover parlare di guerre e di luoghi da dove andare via. Obama è una persona onesta, ma purtroppo la strada è ancora lunga».

 






 

 

 

Concerto di Leonard Cohen
Recensione di Michele Manzotti

 

 

 

 


 


Jude Collins (foto Marco Mori)




 
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