Danis Tanovic è quello che potrebbe essere definito un ex ragazzo prodigio: nel 2001, a soli trentadue anni e con la sua opera prima (lesplicitamente metaforico No Mans Land), è riuscito a vincere quasi tutto il possibile, compreso il Golden Globe e lOscar per il miglior film straniero, unimprovvisa ubriacatura dalla quale spesso è difficile riprendersi. E così è stato anche per Tanovic che ha aspettato ben quattro anni prima di realizzare il suo secondo lungometraggio, il kieslowskiano e deludente Lenfer. Dopo la non felice anche se ricca esperienza di Triage (con Colin Farrell, Christopher Lee e Paz Vega), ecco che con Cirkus Colombia Tanovic torna nei luoghi e nei tempi che sente di conoscere meglio: la sua Bosnia dei primi anni Novanta, proprio subito prima dellinizio della devastante guerra contro a Serbia, quello che lui stesso ha definito: “Lultimo periodo felice della mia patria”.
La storia si svolge nel 1991, in un piccolo paesino alla periferia di Sarajevo dove Divko Buntic (un sempre bravo Miki Manojlovic), approfittando della caduta del comunismo e dellinizio della dissoluzione dello stato jugoslavo, ritorna dopo essere scappato venti anni prima, lasciando moglie e un figlio appena nato. Grazie anche ad una piccola fortuna accumulata in Germania, Divko è intenzionato ad acquisire un ruolo di prestigio allinterno della piccola comunità, presentandosi a bordo di una lussuosa Mercedes ed accompagnato da una giovane e bellissima amante che esibisce come un trofeo per le vie del paese. Grazie allamicizia con il nuovo sindaco, Divko riesce a sfrattare la moglie ed il figlio dalla casa che abitano, ma è così preso dalla sua voglia di riscatto da non rendersi conto di quanto gli animi intorno a lui siano inquieti. Improvvisamente da casa di Divko sparisce Bonny, lamato gatto nero che lui ritiene lartefice di tutte le sue fortune ed è qui che effettivamente le cose precipitano; non solo il gatto non si trova, ma il figlio Martin, con il quale Divko sta cercando di stabilire un rapporto, si innamora, contraccambiato, dellamante del padre, la guerra è ormai alle porte tanto che nel municipio si raduna un esercito irregolare che vuole attaccare la caserma piena di soldati serbi. Quando gli irregolari portano via suo figlio, perché ha avvisato lufficiale serbo amico della madre che si trova nella caserma, Divko finalmente capisce quello che sta accadendo e cerca, a suo modo, di porre rimedio alla situazione.
Tanovic è evidentemente convinto che i tempi sono maturi per affrontare la “sua” guerra con i toni netti e semplici della commedia; probabilmente se il film non fosse stato realizzato da un bosniaco e non avesse ricevuto il premio del pubblico al Festival cinematografico di Sarajevo, il dubbio che questa semplificazione linguistico-formale del problema possa sconfinare nella banalizzazione sarebbe molto forte, ma evidentemente si tratta di un eccesso di scrupoli, dovuto anche alla sensazione che non si sia raggiunta una vera e propria pacificazione di quella zona, come sembrano evidenziare i recenti fatti dovuti al riconoscimento dellindipendenza del Montenegro dalla Serbia. Cirkus Columbia, tratto dallomonimo romanzo di Ivica Djikic, è in tutto e per tutto una commedia; Tanovic, tranne che nellultima inquietante inquadratura, rinuncia a qualsiasi cifra stilistica o virtuosismo, proprio per adeguarsi in toto ai canoni minimi di questo genere, fatto di battute (“Il muro di Berlino è caduto dalla parte sbagliata”) o gag visive (lacqua bollente gettata sulla testa dei poliziotti dalla moglie di Divko durante lo sfratto) che necessitano di inquadrature semplici, chiare e di un montaggio impercettibile. Certo non mancano momenti di tensione come quando la moglie di Divko viene portata via con la forza dalla sua casa o quando il figlio viene prelevato dagli irregolari, ma i modi in cui ci vengono presentate queste scene non fanno assolutamente pensare che vi possano essere sviluppi tragici, così come sono subito chiari i possibili snodi del racconto e lincrocio dei destini di alcuni personaggi (fin dal loro primo sguardo si capisce che il figlio e la giovane amante di Divko finiranno per mettersi insieme).
Protagonista assoluto è un ottimo Miki Manojlovic, perfettamente a suo agio in un ruolo cinico e straniato alla Walter Matthau, al quale finisce per somigliare anche fisicamente, così come la bella Jelena Stupljanin richiama il fascino di Julienne Moore in Vanya sulla 42ª strada di Louis Malle; ma vi sono almeno altri due insoliti protagonisti: linafferrabile gatto nero Bonny, che con la sua presenza sottolinea i punti cruciali del racconto, e la giostra del paese il cui nome dà il titolo al film. Felliniano elemento di ricordo la giostra “Cirkus Columbia” finisce, infatti, per simboleggiare la circolarità della storia e dei suoi personaggi, costretti a ritornare sempre sui loro passi come se gli errori commessi in gioventù non fossero serviti a niente.
Se No Mans Land era unesplicita denuncia dellinsensatezza di una guerra fratricida, dove gli antagonisti parlano la stessa lingua, Cirkus Columbia ne vuole evidenziare la futilità dei motivi che lhanno fatta esplodere: vecchi rancori, piccole questioni personali, esagerate pretese di riscatto sociale, disegnano un quadro di meschine tensioni private che esemplifica lassoluta pretestuosità di quellinaudita violenza che ha dilaniato quei luoghi per quasi dieci anni.
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