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Maratona a Venezia

di Fabiana Campanella
  Gotra Ballet
Data di pubblicazione su web 30/06/2010  

Il Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia ha presentato quest’anno per la prima volta una sezione dedicata alle realtà più giovani e sperimentali: selezionate con un bando internazionale, 21 compagnie provenienti da 6 Paesi, 16 italiane, per un quarto d’ora ciascuna, sul palcoscenico del Teatro Piccolo Arsenale, dalle 15 alle 21 di un sabato pomeriggio di giugno, 5 minuti di pausa, a volte meno, tra una performance e l’altra, ingresso e uscita liberi e continuamente reversibili, per un flusso continuo di circa 500 spettatori in totale. Tempi duri. Tempi lunghi. Mentre a Montecitorio in 37 ore di riunione alla Camera si partorisce la legge sulle Fondazioni Liriche, a Napoli Antonio Latella propone 9 ore di monologhi in fila, e Peter Stein traduce i Demoni di Dostoevskij in uno spettacolo di 12 ore – compresi pranzo e cena per il pubblico volenteroso e soddisfatto. A Venezia la maratona teatrale è di “sole” sei ore, ma di tale intensità e ricchezza da impedire ai più curiosi qualsiasi vizio rigenerante che non sia fisiologico, e inferiore ai tre minuti di durata.

 


Fabrizio Favale

 

A evocare la gloriosa storia atletica del nostro paese è Sara Simeoni, vestita di verde taftà. La giovane artista romana usa 5 dei suoi 15 minuti in posa con ombrellino rosso e musica romantica. Dopo un selvaggio «NOOO!» si lancia in uno sfogo folle e isterico, che incastona stop perfetti e autentica nevrosi femminile. Fulminante. Disturbante e impegnato il successivo lavoro del collettivo COLAPS sul cromosoma XX, inciso sulla pancia della donna. 6 neon gelidi, un lungo tavolo con due personaggi muti agli estremi e il ticchettio delle tastiere del pc, una danzatrice “piegata / piagata” da un uomo che ne espone i genitali, il seno, il sedere, come di un oggetto in vendita, mentre scorre il sonoro di un testo di denuncia. Il gruppo milanese guidato da Maurizio Mauro si impone nel panorama di un pomeriggio di alienazione, solitudini o leggerezza, con una scarica di attualità: dal sessismo berlusconiano sulle immigrate «Faremo un’eccezione solo per chi porta in Italia belle ragazze», alla prostituzione coatta e l’infibulazione. Sulla degenerazione in violenza nel rapporto uomo-donna anche gli applauditissimi olandesi del Gotra Ballet, che condiscono la loro splendida parabola d’amore con ironia e virtuosismi coreografici: i due ballerini si spostano rapidissimi dalle morbidezze della mazurka Bella Marì, all’irritazione elettronica del Kronos Quartet, ripetendo lo stesso pezzo con piccole progressive variazioni che sfociano nello scontro, fino alla rabbia e l’abbandono sottolineate dalla commovente Where is my mind dei Pixies, per concludere con un consolatorio What a wonderful world, fianco a fianco.

 


Megakles Ballet Catania

 

Ri-catapulta sul tema della Maratona con Filippide, del gruppo Barokthegreat di Sonia Brunelli da Verona, trionfo dell’incompiuto con atleta in tutina rossa e cuffia, piedi piantati per terra, due strisce nere sugli avambracci, musica in crescendo e movimenti convulsi di preparazione a un lancio, un tuffo, un salto, verso un elastico teso invano in boccascena. Brilla nei colori opachi e distonici di pantaloni e maglietta la pratese Luisa Cortesi: quasi una musica i suoi tacchi, per chi l’ha già “sentita” ballare i gesti del quotidiano. In silenzio, torna spesso all’angolo del palcoscenico a chiamare qualcuno, che non arriva: quando poi la investe una ballata dei Rolling Stones, più che il capolavoro di Warhol a cui si riferisce, Brillo! la fa sembrare un quadro di Hopper, con donna in attesa. Di tutt’altra natura femminile la bionda coda di capelli slovena del Dance Theatre Igen: un po’ mantide un po’ trapezista da circo, tra attrezzature da palestra e cappelli da mago, la bravissima Mojca Majcen si dimena instancabile per l’ossessivo arrangiamento balcanico del Bolero. Danza di piedi e polpacci sui fogli bianchi che segnano la via per l’alta scala che diventa schermo per videoproiezioni, nell’unico lavoro che include una complessità di generi e humour alla Buscaglione, tra fumetti e cartofagia, siglato opera_di_polvere, da Milano.

 


Mojca Majcen

Strappa il sorriso anche Spot, con Matteo Carvone e Valeria Galluccio, allievi del Direttore di Biennale Danza Ismael Ivo anche nei progetti formativi Coreographic Collision e Arsenale della Danza: insieme al collega Alessio Attanasio costruiscono un trio anomalo – lei altissima, loro ulteriormente abbassati dai calzoni da calcio – intento a rappresentare l’andirivieni di tipi e colori, sempre divisi in vincitori e vinti. Ma-Shalai, in siciliano “me la sono goduta” è il pezzo dei siciliani Petranura, direttamente dall’Etna per danzare la travolgente musica di Giovanni Sollima, in un gioco a tre di dolce e selvaggia passione, di profonda suggestione meridionale. Dal sud all’estremo oriente, i taiwanesi di Ming-Wha Yeh in Seize attendono l’ignoto in una luce algida che illumina solo i loro calzini bianchi. Il loro lavoro di grande contemplazione introduce una sequenza di brani che sottolineano la tendenza diffusa, tra i giovani coreografi, a privilegiare l’aspetto visivo a quello performativo, lasciando che la loro danza si mescoli al teatro, all’interpretazione di pose in movimento, o addirittura alla negazione del movimento, schiacciato dai numerosi studi sulla caduta e sul cosiddetto “floor working”.

 


Valentina Moar

 

Valentina Moar, Alberto Cacopardi, l’Alice in Wonderland di Luna Paese e anche il San Sebastiano per la regia del napoletano Antonello Tudisco si collocano in questa scia di soli e solipsisti, di intuibili potenzialità tecniche e creative, rimaste implose nei suoni elettronici e cerebrali di difficile presa su un pubblico in cerca di emozioni. Nemmeno il pugliese Michele Rizzo riesce, nonostante il mood anni ’80, a convincere nel suo tentativo di irridente imbonitore, poco ballerino e molto show man. Tra le oltre 100 proposte pervenute, delle 21 selezionate dal direttore Ismael Ivo (10 soli, 5 pas de deux, 6 ensemble), 5 gruppi stranieri (da Slovenia, Olanda, Giappone, Taiwan e Stati Uniti), il pubblico invitto della Marathon ricorda con unanime apprezzamento Il gioco del gregge di capre, di e con Fabrizio Favale, eccezionale performer che, da solo, rielabora le dinamiche animali e umane di un gregge, tra reale e fantastico. A chiudere il lungo pomeriggio, perfettamente architettato perché il pubblico confluisse con comodo alla festa finale di Biennale Danza 2010, due figure con una grande rosa in testa, lui tutto nero lei tutta bianca: con delicatezza giapponese i MoTiMaru Butoh Dance rievocano l’ineluttabile coesistenza dei due opposti, che vivono l’uno in presenza dell’altro in una infinita e rassicurante armonia.

Marathon of the Unexpected
cast cast & credits
 



 
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