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Nella campagna dei ricordi

di Giovanni Pirari
  Le signorine di Wilko
Data di pubblicazione su web 07/06/2010  

In adesione al progetto Prospero lo Schaubühne di Berlino ha ospitato Le signorine di Wilko, una rappresentazione interamente in lingua italiana diretta da Alvis Hermanis, regista lettone di capacità riconosciute internazionalmente con l’assegnazione di premi prestigiosi, come il Premio Montblanc Young Directors Project nel 2003 e nel 2007 il IX Premio Europa Nuove Realtà Teatrali.


 


Un momento dello spettacolo

 

La produzione è una riuscita riduzione dell’omonimo romanzo dello scrittore polacco Jaroslav Iwaszkiewicz, di cui concentra la narrazione e la forza poetica in un’unità di circa due ore. Dalle ombre che nascondono la scena a sipario aperto, un fascio di luce fa emergere il protagosta maschile, Wiktor Ruben (Sergio Romano), quarantenne reduce della seconda guerra mondiale, roso dai ricordi di battaglia e dalla solitudine della sua occupazione di amministratore. Dopo quindici anni di assenza dalla campagna dove da studente trascorreva il periodo estivo, su consiglio del medico decide di farvi ritorno e rendere visita alle sei sorelle al tempo frequentate, le signorine del titolo, innescando così un confronto con i desideri e le illusioni del passato. L’avvio dell’azione ci presenta Wiktor in uno stato d’abbandono, mentre si alza dal misero giaciglio, di contro a una piccola parete bianca coperta in parte da nudi femminili vintage. Rivestendosi con ricercata, lenta goffaggine, l’attore, raccontandosi in terza persona, ci introduce ai ricordi e al presente del protagonista, e all’occasione del suo ritorno a Wilko. Il viaggio e il riaffiorare delle memorie sono rappresentati da una trovata scenica concisa, dinamica e sorprendente: Wiktor eccitato riempie la borsa delle prime cose trovate, corre dietro la parete bianca e la fa ruotare su se stessa, mostrando che questa era solo il fondo dipinto d’un vecchio armadio di campagna. Un tremore di risa femminili e dal mobile escono una ad una la sei donne. Buio. Poi un primo ordine di luci ci trasporta nella cucina delle sorelle, finora nascosta dalle ombre. Un secondo fascio illumina dei covoni di paglia dietro il fondale: siamo finalmente nella campagna di Wilko.


 


Un momento dello spettacolo

 

Lo spettacolo si costituisce d’ora innanzi del confronto tra Wiktor e le sei amiche d’un tempo. Fela (Irene Petris), quella che piu’di tutte era rimasta nei ricordi dell’uomo, è morta, uccisa dalla febbre spagnola, e si aggira sul palco come un spettro. È lei che Wiktor sembra desiderare. Mentre le altre sorelle, che ancora vivono, tutte sono attratte da lui e potrebbero portare amore nella sua solitudine, lui parla sempre della morta, quella che  è impossibile da avere. Lo spettro di Fela è così insistente sulla scena e nelle parole dell’uomo, da potersi offrire come una chiave di lettura del comportamento di Wiktor : il protagonista era felice di ritrovare le donne, emozionato nello scoprire di piacer loro ed esser sempre loro piaciuto, ne bacia la piu’giovane, ne prende altre due, ma lui, che soffre della propria solitudine ed ora avrebbe l’occasione di riempirla dell’amore d’una donna, non ne sceglie alcuna e preferisce partir solo, accomiatandosi con la raccomandazione di non trascurare la tomba di Fela.  La sorella morta sembra rivelare la personalità di un uomo che vuole sì guarire dal suo malessere e viver felice, ma al contempo, quando ha l’occasione di rendere i sogni realtà, preferiscere non scegliere e ritirarsi nelle abitudini della sua infelicità.

 

Gli attori, tutti convincenti, hanno dato corpo con intensità e leggerezza a un dramma psicologico profondo, ben esprimendo la poesia del testo. La regia di Hermanis ha costruito un ingranaggio narrativo fortemente simbolico e dinamico, dove il surrealismo degli accorgimenti contruibuisce ad alleggerire il pathos con la meraviglia, e ha saputo incorporare in pochi oggetti e nei loro semplici movimenti il senso e la dinamica di intere azioni e mutamenti di spazio.

 

 

Le signorine di Wilko
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