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La guerra continua

di Roberto Fedi
  Mara Venier e Lilli Gruber
Data di pubblicazione su web 21/04/2003  
Domenica 20 aprile, giorno di Pasqua (fuori pioveva come Dio la mandava, accidenti), abbiamo acceso la televisione nel pomeriggio. Rai Uno. E ci è venuto un mezzo colpo.

Perché abbiamo visto inquadrata Lilli Gruber: capelli rossi, sgargiante foulard-lenzuolo intorno al collo, elegantissimo giubbetto di cuoio da pilota di caccia. Parlava di Baghdad. Oddìo, abbiamo pensato: è ricominciata la guerra. Poi l'inquadratura si è allargata, ed è apparso il faccino B di Mara Venier (quello apprensivo). Abbiamo riflettuto, pur nell'ansia: che la Venier fosse andata in Iraq era, così a occhio e croce, altamente improbabile; e poi, guardando meglio, i capelli rossi di Lilli erano immobili, e non lievemente "a l'aura sparsi" (avrebbe detto Petrarca di Laura: ma quelli erano biondi, anzi "d'oro") come nei collegamenti dal fronte - e comunque, anche da lì, sempre pettinatissimi.

Allora abbiamo tirato un sospiro di sollievo: era Domenica In, e la Lilli stava con Mara (imitiamo, male e malvolentieri, i duetti del tipo "senti Lilli", "dimmi Mara"). Che la intervistava e le faceva un sacco di complimenti (che la Lilli ribadiva pro domo sua) insieme a un altro giornalista, anche lui inviato di guerra, di cui ahimè ci sfugge il nome - la guerra è stata troppo breve, e non tutti sono riusciti a diventare 'divi'. Peccato.


Lilli Gruber da Baghdad


La Lilli invece sì, o almeno non si può dire che non ci abbia provato. Ma, appunto, la guerra è stata una guerra-lampo. E allora come si fa a non ricadere subito nella banalità dei Tg serali, sia pure letti di traverso?

Una trovata geniale: ci si veste come al fronte. Mica come gli altri giornalisti che si sono rimessi in giacca e cravatta. Si parla di Tarek Aziz come di un amicone. Si discetta su dove sarà Saddam-lo-cerco-e-non-lo-trovo. Ma soprattutto si continua a 'indossare' come in guerra: e, si sa, alla Tv il vestito è tutto. È un 'segno' fortissimo, ineliminabile dalla memoria. Tutti gli altri inviati e inviate vestivano come capitava (nel deserto, si sa, è un po' difficile trovare un parrucchiere o un estetista: infatti, come facesse la Lilli è un mistero secondo solo a quello di Saddam-dove-sarà), e ora sono mestamente di nuovo tornati nell'anonimato.

I segni vanno interpretati. Sono messaggi. E questo voleva dire: Io sono qui, a Saxa Rubra, come se fossi al fronte: battagliera. Sono stata a Baghdad, io. Come minimo ora mi spetta un ruolo strepitoso. Lo so che avete fatto il nuovo CdA e il nuovo Direttore generale mentre ero via, ma ora che sono qui sentirete che musica. Rumsfeld, in confronto a me, è un boy-scout.

Noi invece, che siamo cattivi anche per Pasqua e specialmente quando piove a dirotto, il 'segno' l'abbiamo letto così: Per me, un salotto romano o Baghdad sono la stessa cosa. Comoda. Sicura. Come in un albergo. Tant'è vero che sono vestita uguale. Civettuola. Elegante ma determinata. Come a uno spettacolo: la guerra o Domenica In non importa. Peccato che la guerra sia stata così breve. Perché questo giubbotto mi sta proprio bene, 'buca' il video; per non parlare del foulard - ne ho una collezione che neanche la favorita del Rais.
Scegliete voi.


Domenica In

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