«Interno senza mobili. […] Alle pareti di destra e di sinistra, verso il fondo, due finestrelle molto alte da terra. […] In primo piano a sinistra, ricoperti da un vecchio lenzuolo, due bidoni per la spazzatura, uno accanto allaltro. Al centro, coperto da un vecchio lenzuolo, seduto su una sedia a rotelle, Hamm». È la didascalia iniziale di Finale di partita, e corrisponde alla scena dapertura dello spettacolo di Massimo Castri. Minuziosa descrizione a cui segue quella in cui Beckett annota i primi movimenti, maniacalmente precisi, di Clov.
Una scena dello spettacolo
Hamm e Clov: due uomini in una stanza-bunker, in attesa. Della fine, della morte. Altri due personaggi chiusi nei bidoni, si scopriranno più avanti, sono i genitori di Hamm, Nell e Nagg, bianchi come cenci, malridotti e maltrattati. La stanza è grigia, disadorna, e pare scoperchiata; Maurizio Balò, che ha curato scene e costumi, ha voluto che avesse il pavimento a quadrati bianchi e neri, come una scacchiera sulla quale giocare lultima partita. Hamm vuole rimanere precisamente sul quadrato centrale, e da lì tormentare Clov con le sue richieste autoritarie e insensate, ma in realtà reclamandone la compagnia. Paralizzato e cieco, ha gli occhi sanguinolenti nascosti dietro lenti nere e una vestaglia di panno color porpora. Clov ne indossa una identica: solo alla fine si rivestirà, metterà un abito elegante e rimarrà immobile, pronto a uscire (ma conoscendo Beckett sappiamo che non lo farà).
Diana Hobel e Antonio Peligra
Per la prima volta Castri affronta un testo beckettiano: lo fa con ineccepibile disciplina e con il consueto rispetto, attributi che non vengono mai meno durante lo spettacolo. Solo una deroga, ma determinante: a un certo punto dello spettacolo Clov apre una finestra, quella che dà sul mare – benché siano entrambe scure e senza orizzonte – acconsentendo allennesima pretesa di Hamm. Così facendo fa entrare un vociare di bimbi, si direbbe lora di ricreazione di una scuola elementare. I due sembrano non sentire o non farci caso. È una scena brevissima ma di effetto dirompente; perché fino a quel momento abbiamo creduto – è Beckett che ce lo ha fatto credere – che quella stanza fosse lunico luogo abitato sulla faccia della terra, lultimo buco, come lo chiama Hamm, su un pianeta ormai prossimo allestinzione. Per pochi secondi invece Castri ci fa sospettare che non sia così, che limmenso tedio e il senso di vuoto che percepivamo siano dentro di noi. Che quelle di Hamm e Clov, come quelle di Nell e Nagg, siano esistenze terminali non perché le ultime, bensì perché disperate, disperatamente sole, ciascuna sconfitta dalla propria infermità.
Una scena
Vittorio Franceschi assicura al personaggio di Hamm lirragionevolezza ambigua che esso contiene, aggiungendovi qualcosa di dinamico, di irrisolto, con sottili variazioni ironiche e quasi impercettibili. Clov è interpretato da Milutin Dapcevic: ha il fare obbediente e meccanico di un servitore e il dire irrispettoso di un figlio adottivo; ma soprattutto possiede la quieta rassegnazione allinfelicità, segnata da una costante tonalità infantile o patologica. A due giovani di talento, Diana Hobel e Antonio Peligra, è affidato il ruolo dei vecchi genitori, protagonisti di un duetto stridulo e dissennato, ridotti a spazzatura come un ricordo inservibile. Finale di partita, nella sua geometrica semplicità, è un testo perfetto (è quello che Beckett preferiva, tra i lavori teatrali), e Castri ne illumina la sua nota dominante: nientemeno che una riflessione sulluomo e sul suo destino; su che strumento debole sia la memoria e che rifugio insicuro sia la sofferenza, quando assomiglia a una parte provata e recitata ogni giorno, fino alla fine.
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