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Parole indicibili

di Assunta Petrosillo
  Giusto la fine del mondo
Data di pubblicazione su web 13/05/2010  

Il Teatro della Pergola di Firenze ha chiuso la stagione teatrale di quest’anno con lo spettacolo Giusto la fine del mondo di Jean-Luc Lagarce, con la regia di Luca Ronconi.

Lagarce, il secondo autore più rappresentato in Francia dopo Molière, non è mai riuscito a vedere in vita – data la sua morte prematura avventua all’età di 38 anni per Aids – un allestimento di almeno una delle sue venticinque opere.

Il suo teatro è tutto giocato sull’assenza di un vero dialogo e sul confronto tra i personaggi. Tutto ruota attorno al carico di silenzi, confessioni, di cose non dette o indicibili. Il suo è un teatro di parola, in essa risiede tutta la forza drammaturgica, coadiuvata da un ritmo incalzante – a tratti esitante – dei personaggi che sotto l’apparente ripetizione delle parole “recitano la recita della verità del dire”. La sua è una scrittura intricata, ansimante, cadenzata da lunghi monologhi interiori secondo la lezione beckettiana. Lagarce delinea ritratti di famiglie, di amici, devastati dal vuoto esistenziale, coinvolti in situazioni instabili dalle quali non usciranno mai e dove tutto rimarrà irrisolto, non detto.


Un momento dello spettacolo
 

In Giusto la fine del mondo (1990), opera scritta prima che lo stesso autore sapesse di essere sieropositivo, Lagarce racconta con estrema delicatezza e discrezione la storia di uomo di nome Louis - malato di Aids e prossimo alla morte - che dopo essere stato lontano da casa per diversi anni, torna per comunicare ai suoi familiari la notizia della sua malattia e della sua imminente morte. Ad aspettarlo trova la madre vedova, i due fratelli Antoine e Suzanne, e la cognata Catherine. Louis andrà via la stessa sera, senza aver comunicato ai suoi la ‘mera’ notizia.

I cinque personaggi si muovono su un palco nudo, disadorno, con poche sedie, un tavolo e due poltrone (simbolo di autorità patriarcale assente), sulle quali siederanno solo la madre e il figlio Louis, quasi a sottolineare la posizione autorevole dei due protagonisti rispetto agli altri relegati sulle semplici sedie di legno. Louis più volte durante il racconto si alzerà dalla poltrona per allontanarsi dalla sua stessa storia;  altre volte si metterà a terra ma comunque appoggiato a quella poltrona dalla quale si allontana e si avvicina con resistenza, ansia, paura, angoscia. In questo gioco di attrazione-repulsione, di autorità-soggezione, il protagonista nelle sue movenze quasi feline enfatizza la difficoltà di chi ‘deve’ restare seduto lì in quel posto (la sua casa) tra quella gente (la sua famiglia) a lui comunque estranea.

                                   Una scena dello spettacolo

Tutta la storia sarà raccontata nella stessa stanza fissa, minimalista, dai colori grigio-nero (quasi ad enfatizzare i colori del dolore, della morte), incorniciata come in uno schermo televisivo/cinematografico. Ronconi manda in onda in 15 stazioni (indicate in un led luminoso posto sopra la scena, come in una via crucis senza espiazione finale), la storia tragica e irrisolta di chi vive nell’oblio. Le commedie di Lagarce rappresentano una vera e propria sfida per qualsiasi regista che deve metterle in scena, si pensi alla didascalia iniziale in cui l’autore specifica che la scena «si svolge una domenica, in casa della madre di Louis, oppure nell’arco di un intero anno». Una doppia temporalità che rende difficile l’allestimento ma che Ronconi risolve proprio in quella stanza vuota, senza tempo, in cui tutto avviene tra luce e oscurità.

I personaggi si lanciano in lunghi monologhi – soliloqui  rivolti ad un interlocutore non specificato, nella speranza di una risposta, che non arriverà mai proprio come quel Godot di beckettiana memoria. Louis (Riccardo Bini) protagonista della vicenda, parla poco ma ascolta tutti e con ognuno assume un diverso atteggiamento. Lo scarto come afferma Ronconi «si crea tra il pensiero profondo che ciascun personaggio alimenta dentro di sé e le difficoltà che incontra nel verbalizzarlo (…) si può scegliere di tacere e isolarsi – come Louis, che si rifugia nel silenzio – oppure alimentare una volontà inarrestabile di comunicare il cui inevitabile esito sarà rimanere impigliati nei passaggi che separano immagine, pensiero ed eloquio». Lo spettacolo ha inizio con un prologo, in un buio totale, nel quale Louis rivolto al pubblico spiega il motivo per il quale è tornato a casa.

                               Un momento dello spettacolo

I rapporti personali sono giocati sugli ‘inciampi’ linguistici nel vano tentativo di coprire l’‘inciampo’ dei gesti e dei non-sentimenti. I personaggi sono rappresentati nella loro staticità di pensiero e di azioni. La madre, una donna fiera e indifferente, risulta essere l’unica che accoglie il ‘figliuol prodigo’ accarezzandolo sulla guancia in maniera fugace e l’unica a comunicargli − attraverso uno sguardo raggelante − il suo rimprovero più intimo per averla abbandonata. Il fratello minore Antoine (Pierluigi Corallo) sarà l’unico a scambiare con Louis un vero contatto fisico attraverso un abbraccio. Nonostante questo, Louis non  riuscirà a confessare al fratello il suo più intimo segreto e quest’ultimo non sarà in grado di scorgere o scoprire il vero ‘motivo’ per il quale il fratello sia ritornato dopo tanti anni. Catherine (Francesca Ciocchetti), moglie di Antoine, personaggio davvero ironico – conservatrice e goffa – mostra nelle sue continue gaffes e balbettii, tutta la difficoltà di chi si sforza, non riuscendoci, ad accettare il ‘diverso’. Infine la piccola Suzanne (Melania Giglio) si mostra aggressiva e irruenta nei confronti del fratello Louis nonostante l’amore che prova per lui. Anche lei come gli altri non sarà capace di confrontarsi, di parlare, di ascoltare.

Una pièce che racchiude nell’epilogo sommesso di Louis tutta l’incomunicabilità della parola che diviene portatrice di solitudini incapaci di urlare, di dire, di fare: «ciò che penso – qui volevo arrivare – è che dovrei lanciare un grido grande, bello, un lungo grido di gioia che risuonerebbe in tutta la valle, dovrei regalarmi quella felicità, urlare una buona volta. Ma non lo faccio, non l’ho fatto. Mi rimetto in cammino, con il solo rumore dei miei passi sulla ghiaia. Sono queste le dimenticanze per cui ho dei rimpianti». Uno spettacolo dal gusto amaro, tristemente anticipatore di questo nostro presente che ‘brucia’.

Giusto la fine del mondo
cast cast & credits
 


Luca Ronconi

 

 





Jean-Luc Lagarce
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Recensione allo spettacolo di Lagarce, presentato al
Napoli Teatro Festival Italia 2009:
(Traduzione di Franco Quadri)

 
 
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