Al Teatro della Pergola di Firenze, Ugo Chiti ha portato in scena Le conversazioni di Anna K. (vincitore del 49° Premio Riccione per il Teatro), adattamento teatrale de Le metamorfosi (Die Verwandlung) di Franz Kafka.
Si tratta della storia di un impiegato, Gregor Samsa, che una mattina si sveglia trasformato in un insetto mostruoso (per la precisione uno scarafaggio). Luomo in un primo momento non si preoccupa della sua condizione, ma di come recarsi al lavoro in quelle fattezze. Il capo di Gregor (il procuratore) si reca a casa dellimpiegato per chiedere notizie e solo allora i suoi familiari capiscono cosa sia accaduto, provando orrore e ripugnanza. La sorella di Gregor, Grete, è lunica a preoccuparsi di lui, a procurargli del cibo, a stargli accanto. Un giorno il padre per disperazione lancia delle mele contro Gregor e lo ferisce. Lentamente Gregor si lascia morire e la governante Anna si libera dei suoi resti, mentre la famiglia ricomincia una nuova vita traslocando in una dimora più piccola.
Nella trasposizione teatrale di Chiti si assiste ad un ribaltamento della storia. Pur conservando il significato più intimo e profondo del pensiero kafkiano. Il regista modifica il titolo originale da Le metamorfosi in Le conversazioni di Anna K.; promuove a protagonista il personaggio marginale della governante Anna K.; italianizza il nome di Gregor in Gregorio (che non compare tra i personaggi nel cast della locandina).
La compagnia in un momento dello spettacolo
Anna diviene il motore e la chiave di lettura delladattamento teatrale, grazie soprattutto ad una efficace e straordinaria Giuliana Lojodice che con grande maestria modifica le prospettive più intime del racconto. La prossemica dellattrice rimanda ai grandi attori dun tempo che attraverso un uso raffinato dei gesti (soprattutto delle mani) comunicavano con lo spettatore (anche quello più lontano dalle letture drammaturgiche). Lelegante attrice dai toni raffinati dei grandi sceneggiati televisivi (Tragedia americana, Il Conte di Montecristo, Peppino Girella), e delle commedie recitate al fianco di Aroldo Tieri (Uscirò dalla tua vita in taxi, Marionette che passione, Il marito ideale, Lamante inglese) regge tutta limpalcatura del testo e della messa in scena, in un ruolo popolare, con una parlata sporca, dettando i tempi e le cadenze, con ritmo serrato. Lojodice si appropria del personaggio a tal punto che lo stesso Chiti dichiara che lattrice riesce a spogliarlo dei panni che la lettura poteva avergli messo addosso, prende le misure delle scene, delle luci, degli stacchi musicali fino diventare lei stessa Anna. I suoi sorrisi, le sue movenze (quella camminata claudicante, ma al tempo stesso decisa), le ansie e le paure (enfatizzate in quel nascondersi dietro i muri ad origliare i segreti familiari e balbettare rivolgendosi al pubblico e subito dopo agli altri personaggi alzando il tono e cambiando registro), ci svelano una donna loquace, curiosa e al tempo stesso dal cuore semplice, capace di suscitare il sorriso e la pietas.
Giuliana Lojodice
Ugo Chiti riesce a condurre lo spettatore − nelle pieghe del racconto − per mano attraverso le parole di Anna K., la quale ci ricorda che la diversità consiste nellessere esclusi dai sentimenti, non dalla vita quotidiana. Un po debole risulta la scelta scenica in quel continuo e ripetitivo aprirsi e chiudersi delle pareti delle stanze che stanca e non permette a chi è seduto lateralmente di vedere tutti i personaggi coinvolti nel racconto. Interessanti le scelte musicali (tra cui linserimento delloperetta Ciribiribin) ad opera di Vanni Cassori e Jonathan Chiti.
La stanza di Gregorio si apre e si chiude come una cassetta di sicurezza in cui ‘relegare e ‘nascondere con premura la ‘vergogna, la ‘repulsione, la ‘diversità. Una stanza, quella di Gregorio, che è al tempo stesso prigione del ‘diverso e morte dei valori familiari. La voce, come nel linguaggio kafkiano, diviene in Chiti un tratto riconoscibile di Gregorio che nella mutazione ha un ein schmerzliches Piepsen (ovvero un bisbigliare sommesso e lamentevole). Nei discorsi e nelle conversazioni di Anna, Gregorio è solo evocato, ma è sempre presente. Anna è lunica che continua a ‘vedere e ‘trattare Gregorio come persona, con il quale parla, confessandogli come in un ‘specchio le sue angosce. Di Gregorio conosciamo solo quel bisbiglio e quellincedere rapido, quel suo arrampicarsi sui muri e nascondersi sotto il letto che diviene il “corpo-protesi” di un insetto invisibile, ma ingombrante. Nelle pieghe del linguaggio, la malattia è resa visibile nei genitori di Gregorio: la madre, la signora Samsa (Giuliana Colzi) è metafora del soffocamento, il padre (Massimo Salvianti) del rifiuto: lui, che prima degli eventi narrati era privo di forze, ora conduce vita attiva ed ha trovato lavoro. Lei, una madre che si nasconde sotto uno scialle per non ‘vedere, lui un padre che si nasconde sotto quelluniforme blu dai bottoni doro di chi non può ‘staccare mai nemmeno di notte, forse proprio per allontanare da sé gli orrori della diversità del figlio. Una famiglia quella Gregorio che diviene nellallestimento quel contesto veramente animale che Kafka aveva descritto alla sorella in una lettera a lei indirizzata.
Nellambientazione da anni Trenta-Quaranta del Novecento è riscontrabile un attacco alla società borghese del tempo, gretta e ipocrita. Bravi gli attori della Compagnia dellArca Azzurra che danno prova di precisi e affiatati comprimari: Lucia Socci (Grete), Dimitri Frosali (Procuratore e Signor Gott), Andrea Costagli (Signor Curzi) e Alessio Venturini (il violinista).
Giuliana Lojodice (Anna K.)
La pièce si chiude con la morte di Gregorio (rinchiuso in un sacchetto nero, che rimanda allattualità dei nostri tempi di quei corpi-neonati ripudiati e gettati nei cassonetti), a cui fa seguito lapertura di quella casa-prigione verso lesterno in un ‘bagno di luce che ci ricorda come tutto scorre e avviene nellindifferenza più totale. Il teatro, finalmente, riconquista il suo valore civile. Grazie Chiti. |
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