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La forza della parola

di Roberta Balduzzi
  Il dolore
Data di pubblicazione su web 22/04/2010  

Quella tra Mariangela Melato e il Teatro Stabile di Genova è una lunga collaborazione, che da diciotto anni vede l’attrice confrontarsi con svariati registi e diverse scelte drammaturgiche, in un percorso che l’ha portata a raggiungere una rara profondità interpretativa. È recente, tuttavia, l’avvicinamento al monologo da parte della Melato, che per lungo tempo ha preferito interagire sul palcoscenico con altri attori. Dopo l’esperienza di Sola me ne vo, l’interprete torna adesso con un soliloquio di tutt’altro stampo: mentre nel precedente, infatti, si era confrontata per la prima volta con la commedia musicale e aveva ballato e cantato, qui si trova di fronte a un impegno completamente diverso, che si concretizza nel confronto con un testo d’intensa drammaticità.

 

 

La voglia di proseguire il proprio percorso di ricerca ha indotto la Melato ad accogliere di buon grado la proposta d’interpretare l’adattamento del Dolore di Marguerite Duras. Il testo della scrittrice francese consiste in una raccolta di riflessioni e ricordi autobiografici, che tracciano il suo tragico vissuto nel periodo della seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca. Dopo avere preso parte alla resistenza antinazista con il marito Robert e dopo la deportazione di quest’ultimo a Dachau, l’autrice visse, tra il 1944 e il 1945, un lungo e straziante periodo di attesa, che raccontò in due diari. Da questi scritti, ben quarant’anni dopo, nacque Il Dolore. La Melato, insieme al regista dello spettacolo, Massimo Luconi, ha lavorato all’adattamento teatrale di un materiale narrativo che si distingue per la violenza e la secchezza della scrittura: racconti, memorie e sensazioni costituiscono l’opera della Duras e vengono riportati sulla scena facendo leva proprio sulla forza del linguaggio e delle immagini. L’obiettivo è quello di rappresentare la realtà interiore della protagonista, prima ancora che quella dei fatti.

Sul fondale scuro si stagliano le luci che illuminano porzioni di palcoscenico, fendendolo in modo netto; in primo piano, l’interprete, vestita di una semplice tuta nera, si muove attraverso uno spazio scenico in cui oggetti sparsi (libri, vecchie scarpe, pile di quotidiani) e “scheletri” di alberi evocano il caos e lo strazio generato dalla guerra, ma anche il disordine del pensiero della protagonista. L’ansia che trapela dall’attesa della donna si carica di significato nell’interpretazione della Melato, le cui parole giungono nette e graffianti. Contribuiscono in questo senso anche pochi ed efficaci accorgimenti sonori e visivi: si è già accennato al violento uso delle luci che irrompono sul palco, ma anche la musica, le voci della folla nelle strade di Parigi e il frastuono della guerra invadono la scena in modo del tutto inaspettato, generando nello spettatore un senso di spaesamento.  Gli artifici scenici non mettono tuttavia in secondo piano la recitazione dell’attrice, di cui, anzi, esaltano i tratti peculiari.

 

 

Va precisato che la Melato inizia il monologo con un’interpretazione apparentemente sottotono: la voce è soffusa, quasi sospirata, ma presto risulta evidente che si tratta di una scelta ben precisa. Infatti, il registro lentamente cambia e improvvisi sbalzi di tono spiazzano lo spettatore. La Melato si addentra così nel dramma della Duras, rendendolo proprio. Lo spettacolo procede e l’angoscia della protagonista si fa sempre più intensa: l’attrice si anima e si concede con generosità al pubblico, con un approccio diretto e coinvolgente. Interpella gli spettatori quando s’interroga su una scelta che è frutto del disorientamento determinato dal suo stato di tensione: si domanda, infatti, se ormai in lei sia maggiore l’odio per i tedeschi o l’amore per il marito Robert. L’attesa del ritorno dell’uomo si è trasformata impercettibilmente in desiderio della caduta di Berlino. La scoperta che il compagno vive e che potrebbe tornare non basta ad alleviare il dolore, che persiste nella successiva malattia di Robert e nell’assistenza della donna. La speranza, che sia quella di un ritorno o quella di una guarigione, è pertanto saldamente connessa al dolore. La Melato rappresenta al meglio la sopportazione di questa condizione, in quanto, come lei stessa ha dichiarato, è prerogativa di molte donne «quel saper attendere, quel rimuginare sull’attesa, quel essere fragilissime nella sensazione dell’abbandono, della paura del dolore, ma insieme in realtà tenaci come solo le donne sanno essere».

 

Il dolore
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La locandina




 
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