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Lamento per Raimondo

di Roberto Fedi
  Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi
Data di pubblicazione su web 15/04/2010  

Era inevitabile. Non solo per l’età, avanzata (88 anni quasi compiuti), ma perché in questa televisione davvero era un reperto archeologico, ma prezioso.

 

Stiamo parlando di Raimondo Vianello, scomparso da poco. Non lo si vedeva più sullo schermo da tempo, neanche in qualche apparizione fugace, e ci mancava moltissimo. Le ultime volte che era apparso, sempre asciutto, alto, elegante, lo sentivamo quasi un po’ a disagio. Si poteva capire il perché.

 

Era un autore e un attore, ma la definizione è limitativa: grande intrattenitore, piuttosto, capace di essere uno showman e un presentatore, di discutere con competenza e ironia di calcio, di interpretare siparietti umoristici leggeri e intelligenti, di essere insieme protagonista e spalla. Uno dei pochissimi anche nella televisione non becera d’una volta, e ormai l’unico, a parte Fiorello, che però per sua scelta si vede poco.

 

Vianello invece si vedeva molto, per fortuna. Quasi sempre, a partire dal 1962 quando si era sposato, in coppia con la moglie Sandra Mondaini; oppure, molti e molti anni fa, con Ugo Tognazzi, in Un due tre, grande varietà del bianco e nero in cui interpretavano, in coppia appunto, scenette rimaste nella storia della televisione. Una su tutte, a cui assistemmo bambini e che c’è rimasta per sempre nella memoria: a una prima della Scala, l’allora presidente Gronchi aveva fatto, in diretta, un capitombolo perché Fanfani gli aveva sfilato la sedia da dietro, per aiutarlo servilmente ad alzarsi. Lui non se n’era accorto, e al momento di sedersi, bum!, culata in terra. Oggi farebbe solo ridere. Allora, nell’Italia del regime democristiano perbenista e bigotta, fu uno scandalo nazionale.

 

I due ripeterono immediatamente la scena, ma come persone qualsiasi. Uno dei due toglie la sedia, e l’altro cade. E dice, al primo: “Oh, ma chi ti credi di essere?”. Rapido, bruciante, divertente. Puro teatro.

 

Che ci crediate o no, per questo il programma venne sospeso, e i due cacciati dalla Rai. Erano tempi così, sia detto per chi rimpiange le nevi d’una volta.

 

Così la coppia si sciolse, e se ne formò un’altra, quella appunto con la Mondaini. Poi, il passaggio a Mediaset, dopo per oltre vent’anni hanno deliziato e innalzato il livello non altissimo della Rete con grazia e cultura.

 

Perché Raimondo ce lo ricorderemo così: un uomo di cultura, che come tale conosceva l’ironia e le agudezas, e anche l’autoironia, oggi merce scomparsa. Mai sentito dire una parolaccia, mai visto in Tv sghignazzare per scemenze, mai visto sbracarsi per avere l’applauso facile. Mai visto ridere delle proprie battute, come fanno ora tutti questi poveri di spirito per tirarsi l’applauso. Quando entrava, ci si sentiva meglio perché qualsiasi cosa avesse detto o fatto, sarebbe stata insolita, fine e intelligente. Ci avrebbe fatto sorridere, mai deludendoci.

 

Era un umorista, fra i più grandi del Novecento. Non un comico, perché la sua parola, unita alla sua persona sempre impeccabile, induceva al riso ma con qualche riflessione. Sarebbe piaciuto a Pirandello, per questo. Aveva il rispetto di tutti, ma non lo incuteva. Le sue sit-com con la moglie sono fra le cose migliori prodotte dalla televisione in Italia, le uniche degne di stare alla pari con quelle americane.

 

Ci dispiace che se ne sia andato. Moltissimo. Era, se possiamo dire così, una presenza attiva ed educata, intelligente e colta, che ci faceva sentire, in questa televisione imbarbarita dalle isole e dalle risse, meno isolati.

 

Non lo abbiamo mai sentito alzare la voce. Come tutte le persone di valore, autorevoli e intelligenti, non ne aveva bisogno. Sapeva regolare i silenzi e l’understatement, la parola e il gesto e l’espressione del volto.

 

Come tutti i grandi, se n’è andato in silenzio.

 

Ciao, Raimondo.






 
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