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Quell'oscuro oggetto del desiderio

di Marco Luceri
  Mine vaganti
Data di pubblicazione su web 08/03/2010  

Ferzan Ozpetek sembra aver ritrovato l'ispirazione. Dopo ben tre film confusi e poco riusciti, in Mine vaganti il regista italo-turco, alle prese con una storia molto autobiografica, tesse un'abile trama sul valore della libertà e sul coraggio di seguire i propri sogni. In una Lecce abbagliante e sontuosa, il gruppo di famiglia è quello della ricca borghesia imprenditoriale dei Cantone: il bel Tommaso (Riccardo Scamarcio), aspirante scrittore, torna da Roma con l'intento di confessare ai genitori e agli altri la sua omosessualità, ma durante la fatidica cena è il fratello (Alessandro Preziosi) a rubargli la scena dichiarandosi gay e abbandonando la guida dell'azienda, sconvolgendo la vita dell'intera famiglia. L'arcigno padre (Ennio Fantastichini) e l'ottusa madre (Lunetta Savino) non ammettono ragioni e ripongono le loro speranze sul figliol prodigo: dovrà essere Tommaso a prendere in mano le redini del pastificio, al fianco di Alba, una sfuggente ragazza (Nicole Grimaudo) che lo attrae misteriosamente.

   

Ferzan Ozpetek sul set
con Ennio Fantastichini e Riccardo Scamarcio
 

Mescolando sapientemente i toni della commedia di carattere a quelli del dramma intimo (la solida sceneggiatura è stata scritta insieme a Ivan Cotroneo), Ozpetek mette in scena un'intricata matassa di destini senza controllo: non è solo Tommaso a soffrire un disagio interiore, ma tutti i personaggi, costretti a confrontarsi con regole e pregiudizi soffocanti, che esplodono in un velenoso conflitto tra padri e figli. Riproponendo alcuni dei temi più ricorrenti del suo cinema (le difficoltà dell'eros e delle relazioni umane), il regista riesce a non essere mai invasivo: la macchina da presa scruta i personaggi nel profondo con delicatezza e rispetto, in una messinscena che privilegia i colori caldi,  la luce intensa, la musica chiassosa. Ne è un esempio la scena forse più importante del film, quella ambientata a casa di Alba: la ragazza si sta innamorando di Tommaso, lui lo capisce e con straordinaria naturalezza le accarezza il viso, prima di andarsene, lasciandola bruciare nel desiderio. Ozpetek opta per una serrata alternanza tra campo e controcampo (anche se è Scamarcio a essere ripreso il più delle volte di spalle), lasciando però all'intensità degli sguardi tutta la possibilità di esplicitare la sostanza drammatica dell'intera scena.
 

Riccardo Scamarcio e Nicole Grimaudo

 

Mine vaganti è un film in cui la ricostruzione meticolosa degli ambienti si accompagna a una gustosa ritualità; nella grande casa dei Cantone si è sempre e comunque partecipi di ricorrenti momenti di convivialità: colazioni, pranzi, cene, merende, ecc. sono le situazioni in cui molti dei personaggi si ritrovano e sperimentano, loro malgrado, tutta la distanza tra la parvenza di tranquillità ipocrita a cui molti di loro aspirano e la volontà (spesso repressa) di mettere allo scoperto la propria irrefrenabile e sincera voglia di cambiamento. Chi ha letto, ad esempio, Il museo dell'innocenza, l'ultimo romanzo di Orhan Pamuk (in particolare il lungo capitolo dedicato alla festa di fidanzamento tra il protagonista Kemal e Sibel) può ben capire il perché Ozpetek dedichi così tanta attenzione a questi lunghi frammenti di vita sociale. Sono questi infatti i momenti in cui la cultura borghese mediterranea ama mettersi in scena, recitando su un palcoscenico che per sua natura si trasforma in un infinito, sottile e crudele regolamento di conti tra gli “attori”. Il regista ama infatti usare la panoramica circolare (che a volte risulta un po' fastidiosa) per rimarcare fortemente queste situazioni, convogliando l'attenzione dello spettatore non sui singoli personaggi, ma proprio sull'ambiente. Lecce è così, nella sua lucente magnificenza barocca, perfettamente ricreata negli interni di casa Cantone: il clima di sospetti, recriminazioni, incomprensioni, pregiudizi a cui la città dovrebbe fare da sfondo fuori, è invece trasfigurato dentro le mura domestiche, come se fosse una sorta di “atmosfera” di per sé incancellabile.

 

Una scena del film
 

Buona la prova di tutti gli attori (una delle virtù di Ozpetek è proprio quella di saperli dirigere), alle prese con parti non facili: Scamarcio e Preziosi riescono a non essere eccessivi, Fantastichini è aggressivo, la Savino ed Elena Sofia Ricci mostrano le loro rughe (anche in senso metaforico) senza troppo zelo e sforzandosi di rendere al meglio le sfumature della cadenza salentina, le giovani Grimaudo e Carolina Crescentini fanno quello che sanno fare: le amanti perdute e capricciose. Anche i tanti caratteristi, usati in maniera caricaturale e ai limiti del macchiettismo, non stonano in questo caravanserraglio di personalità irriducibili, ma sorreggono efficacemente l'altalenante ritmo del film. Si staglia comunque su tutti l'intensità e l'autoironia di Ilaria Occhini, la nonna dal passato burrascoso, a cui Ozpetek concede, giustamente, la battuta che sintetizza il senso del film: «Non farti mai dire dagli altri chi devi amare e chi devi odiare, ma sbaglia per conto tuo, sempre».

 

Mine vaganti
cast cast & credits
 


 
La locandina del film 
 
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